C'è voluto San Draghi per trarre d'impaccio la politica (e in particolare il Pd), incartata tra ddl Zan e anatema vaticano. La ferma presa di posizione del premier a difesa della «laicità» dello Stato e della «libertà» del Parlamento, non a caso immediatamente sposata con entusiasmo da Enrico Letta e dai dem, offre una onorevole via d'uscita ai sostenitori del ddl Zan, e al tempo stesso - con il richiamo alla tutela del «pluralismo e delle diversità culturali» - apre la strada alla mediazione sui punti più controversi della legge.
Mediazione a questo punto inevitabile, riconoscono gli stessi dem, altrimenti «a voto segreto andiamo incontro alla bella morte». Nella conferenza dei capigruppo convocata ieri sera, dopo la riunione d'aula e l'intervento del premier Mario Draghi, il Pd insieme a Cinque Stelle, Leu e Italia viva (ossia il fronte favorevole al ddl Zan, sia pur con diverse sfumature) ha chiesto la calendarizzazione a metà luglio del provvedimento in aula, per superare l'ostruzionismo in commissione e ottenere «tempi certi» di discussione. Ma la Lega, accodandosi a FdI, chiede invece lo stop alla discussione, in omaggio al Vaticano, per provare ad affondare subito il provvedimento. La patata bollente finirà in aula, probabilmente oggi stesso. Il Pd spera che ci siano i numeri per ottenere il via libera, per poi aprire un tavolo di trattativa e superare gli ostacoli su cui il ddl potrebbe affondare. «Vediamo se dalla Lega o da Italia viva arrivano proposte di merito», dicono nel gruppo dem. La linea ufficiale resta quella di «andare avanti» con l'attuale testo, sposando le parole del premier: «Ci riconosciamo completamente in quanto ha detto sulla laicità dello Stato e il rispetto delle garanzie», plaude Letta. Che non vuole prendere l'iniziativa sulle eventuali modifiche al ddl: «Non cambio idea, il rispetto per la Santa sede non vuol dire indietreggiare su una legge di civiltà». Ma Matteo Renzi avverte: «Sarebbe meglio mediare. Spero che si approvi all'unanimità, ma non so cosa possa uscire dal voto segreto». È la linea su cui Iv insiste da mesi, ben prima della pesante interferenza vaticana, per sbloccare il ddl. E i renziani hanno appoggiato la richiesta di calendarizzazione in aula con la consapevolezza che lo stesso Pd non possa tirarsi indietro rispetto a correzioni almeno parziali del testo. «È ovvio che una volta ottenuta la certezza dei tempi non possiamo tirarci fuori dalla discussione di merito», ammettono i «dialoganti» dem.
«Nel Pd sono divisi - nota in privato anche Matteo Salvini - c'è chi vorrebbe aprire il dialogo con noi e Forza Italia sui tre punti contestati, e poi c'è l'area dei pasdaran arcobaleno che vuole lo scontro. Io aspetto una telefonata di Letta, ma temo che non arriverà». Il che lascia intendere che il gioco del cerino sia ancora in pieno corso: il centrodestra fa muro e attende che siano i dem ad andare a Canossa offrendo una mediazione, il Pd dice che tocca se mai alla Lega (che ha il relatore in commissione, Andrea Ostellari) di proporre un tavolo di discussione in cui trovare punti d'incontro mentre M5s, con il presidente della Camera Fico, rigetta le «ingerenze» vaticane.
Ma anche nelle file dem si aprono dissensi espliciti: «Se il Pd vuole caratterizzarsi come il partito dei diritti - dice l'ex ministro Giuseppe Fioroni - deve avere la lungimiranza di saperli tenere tutti assieme, altrimenti siamo come Salvini. Il testo va migliorato».
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