Renzi non tira più, fuga dalle urne

Crolla l'affluenza, segnale dell'apparato di sinistra al premier. In Emilia calano i democratici e tiene l'asse Fi-Lega

nostro inviato a Bologna

Una fuga in massa di votanti nel «cuore rosso» del Pd, l'Emilia Romagna sempre prima della classe per affluenza e fedeltà al partito. Un sistema (Pd-coop-sindacati) che sembrava inossidabile ma che invece, per la prima volta, sprofonda sotto il peso delle inchieste che hanno travolto il Pd locale - l'ex governatore Errani condannato, i consiglieri regionali indagati per le spese pazze -, di un candidato con poco appeal (e troppi legami con l'apparato sotto accusa), e senza più il traino di un leader in luna di miele con gli italiani, ma con un Renzi invece alle prese con difficoltá, contestazioni, disoccupazione e guerre intestine al partito. Per rendersi conto dello choc prodotto dalla cifra dell'affluenza in Emilia Romagna basta dare un'occhiata ai precedenti. E cioè all'82% di votanti alle politiche 2013, o al 70% delle europee di maggio scorso, come pure al 68% delle regionali 2010 o al 76,6% di quelle del 2005. Cifre stratosferiche rispetto allo scarso 38% raggiunto in questo giro, un numero da incubo, peggio delle peggiori previsioni che già guardavano al 50% come a una sconfitta. Qui invece non si arriva neppure al 40%, un record in negativo (se fosse un referendum non avrebbe il quorum), un'ecatombe di elettori che si abbatte come una slavina sull'Italia di Renzi, 30 punti meno della tornata precedente.

E anche i primi risultati della notte danno un Pd in forte calo rispetto alle Europee (10 punti in meno) e l'asse Forza Italia-Lega che tiene, con gli azzurri che rispetto alle Europee calano dell'1,5%, mentre la Lega guadagna oltre dieci punti.

Il democratico Stefano Bonaccini è in vantaggio sul candidato di centrodestra Alan Fabbri. Non si ricorda da queste parti un'elezione con un tasso di assenteismo così alto. Il top è a Rimini, dove si arranca al 33%, le urne più «affollate» a Bologna, col 40,2%, o a Bondeno (54%), provincia di Ferrara, il paese di Alan Fabbri candidato del centrodestra. Tanto che nel quartier generale del Pd, quando ci si rende conto di quel che sta accadendo, scoppia il panico, e scatta l'ordine di far partire sms a pioggia per portare alle urne più gente possibile, alla ricerca di un disperato scatto finale nelle ultime ore del voto. Con una percentuale di astenuti che supera, e di parecchio, i votanti, la vittoria avrà per forza un sapore amaro, una mezza vittoria, o una mezza sconfitta.

La Calabria va poco meglio, con il 43% rispetto al 59% della precedente tornata. Il trend resta negativo. «Se si andrà su una percentuale al di sotto del 50%, sarà un dato preoccupante», diagnostica l'ex premier Romano Prodi. E la minoranza Pd affila già i coltelli. «I dati dell'affluenza sono disarmanti – scrive Pippo Civati sul suo blog -. Forse sarà più chiaro che la governabilità come unica stella - senza rappresentanza - è non solo un problema, ma un vero e proprio pericolo». «Non è un test nazionale», «si vota per la Regione non per il governo» hanno ripetuto i dirigenti Pd, a cominciare dal candidato, Stefano Bonaccini, fino allo stesso Renzi. Una frase di rito, che però si adopera solo quando le cose si mettono male. L'antica alleanza col sindacato, che in altre situazioni inviava lettere agli iscritti per far votare il candidato Pd, stavolta si è trasformata in diffidenza, quando non in aperta guerra.

E la freddezza dalla Cgil, che in Emilia Romagna conta 823mila iscritti, può costare cara. La Fiom del reggiano Landini ha boicottato la campagna elettorale del Pd, col segretario regionale Bruno Papignani che invita a «fare una sorpresa a Renzi». E non una sorpresa piacevole.

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