«Ci mancava solo questa». Il commento di chi, ai piani alti del Pd, si occupa delle prossime amministrative, è eloquente. La nuova tegola giudiziaria cade in testa al partito del premier in un'area cruciale, e proprio mentre si iniziava ad esplorare una situazione difficile come quella di Napoli, con la tacita speranza che proprio Vincenzo De Luca fosse il deus ex machina capace di trovare la quadra per le candidature a sindaco. E invece, ora, tutto sprofonda nella nebbia più fitta, dalla quale emergono scenari allarmanti: che succederebbe se, sull'onda della nuova inchiesta, il governatore fosse costretto a dimettersi e la Campania tornasse al voto, magari nella stessa primavera delle Comunali? E che ripercussioni può aver il nuovo polverone giudiziario in altre realtà ad alto rischio elettorale?Scenari ancora futuribili, ma nell'entourage renziano - anche se nessuno si sbottona - la preoccupazione è forte. Mentre gongola l'antirenziana Rosy Bindi, che ebbe un memorabile scontro con De Luca dopo averlo infilato nella sua lista di «impresentabili». «Oggi non parlo, chiedete alla segreteria Pd», dice velenosa. Il premier vuol vedere chiaro nella faccenda e prima di partire nel pomeriggio (in ritardo sulla tabella di marcia, tanto da perdersi la foto di gruppo e la cerimonia d'apertura) per il vertice europeo di Malta sull'immigrazione lascia ai suoi la consegna della prudenza: nessuna difesa esplicita di De Luca, ma neppure prese di distanza, meglio attendere gli sviluppi di un'indagine nella quale la stessa Procura di Roma parla di De Luca come oggetto di «minacce». Tanto che lui si definisce «parte lesa».Nella sua enews, la lettera aperta settimanale, Renzi parla di tutto (da Expo agli ottimi dati dell'economia alla nuova ondata di assunzioni nella «Buona Scuola») tranne che del caso del giorno. In compenso, assesta un ceffone ai transfughi del Pd che si sono arruolati in Sel in odio al premier: «Credo che essere di sinistra non sia organizzare piccoli partiti che non vinceranno mai. Essere di sinistra, e ancora prima essere per la giustizia sociale e per l'uguaglianza, significa lottare contro il precariato».La linea cauta del Pd è ben sintetizzata dal governatore del Piemonte Sergio Chiamparino: «Non ho elementi, al di là di quanto scrivono i giornali. Fino a prova contraria valgono le dichiarazioni di totale estraneità di De Luca». Fino a prova contraria, appunto. Qualche importante esponente campano del Pd, a taccuini chiusi, si dice poco ottimista sugli esiti della vicenda: «Stavolta non va a finire bene, la storia è brutta e politicamente non la reggiamo». Del resto, il Pd in Campania è da molti anni in preda alle guerre per bande, e non a caso a Napoli raccontano che siano stati gli assessori vicini ad Antonio Bassolino (aspirante sindaco e gran nemico di De Luca) a mettere giorni fa i cronisti sulla pista dell'inchiesta.I renziani in regione e in città praticamente non esistono, e non toccano palla. Uno che quella situazione la ha conosciuta (e la ricorda ancora con un certo orrore) è l'attuale ministro della Giustizia Andrea Orlando, che fu commissario del partito a Napoli nel 2012. E Orlando si dice «preoccupato» perché per «da quello che si capisce si tratta di una vicenda non particolarmente esaltante. Ma sarei cauto nel trarre delle conclusioni perché siamo ai primi indizi». Ad andare giù duro è invece l'ex assessore a Roma Stefano Esposito: «Questa di De Luca è una brutta storia, che fa male al Pd.
Il nostro principio cardine deve essere la legalità. Se è stato ricattato, doveva denunciare. Su di lui dobbiamo usare lo stesso metro di valutazione avuto con Ignazio Marino». Il quale, come è noto, è stato fatto dimettere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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