Renzi scappa in Afghanistan per sfuggire al Vietnam Pd

Il premier vola a Herat dai nostri militari, poi definisce «un risultato positivo» l'esito del voto descritto anche dai media amici come una mezza batosta. Lunedì resa dei conti con la fronda

Stavolta lo storytelling si è un po' inceppato, ammettono al Nazareno: l'intoppo in Liguria ha colto impreparato il Pd, l'incertezza nella notte in Umbria e Campania ha rallentato la sua prontezza di riflessi. E così un risultato che, a mente fredda, viene giudicato dal premier «molto positivo», visto che «in un solo anno (quello della segreteria Renzi, ndr) siamo passati da 6 regioni governate da noi e 6 dal centrodestra a un sonoro 10 a 2» e che il Pd resta solidamente il primo partito italiano, è stato fatto passare dai media per una mezza batosta.

Ieri mattina, dopo aver visto l'alba al Nazareno per aspettare la certezza sulla Campania, Matteo Renzi è volato in Afghanistan per celebrare, con tanto di giacca mimetica, la festa della Repubblica con i militari italiani. Un blitz organizzato da una decina di giorni, in gran segreto come è consuetudine in questi casi per ovvie ragioni di sicurezza: il premier aveva deciso che, comunque andasse, il giorno dopo le Regionali lui sarebbe stato ad Herat. Ma nello storytelling degli avversari di Renzi la missione afghana è stata descritta come una «fuga» dal risultato elettorale. A Roma lo stato maggiore Pd cerca invece di raddrizzare il messaggio della notte precedente, con tanto di slide: la mappa delle regioni italiane con l'arancione del Pd che si allarga a macchia d'olio. Quanto alla sconfitta in Liguria, spiega il vicesegretario Guerini, «lì perdiamo perché un pezzo di centrosinistra ha ritenuto di costruire equilibri politici nuovi, consegnando la regione al centrodestra». Anche se in privato, ai piani alti del Nazareno, molti ammettono che «abbiamo sbagliato la candidatura, la Paita era percepita come troppo in continuità con un sistema vecchio. Se avessimo candidato Andrea Orlando, per dire, non sarebbe finita così».

I numeri dei voti assoluti, però, qualche allarme lo creano. Certo, il Pd resta primo ovunque; certo tutti gli altri, a cominciare dai Cinque Stelle e con la sola esclusione della Lega, perdono voti a rotta di collo; certo il dato locale, la mancanza del traino nazionale del leader e le liste civiche dei candidati modificano il risultato. Ma l'analisi dell'Istituto Cattaneo spiega che il Pd ha perso circa due milioni di voti rispetto all'exploit delle Europee di un anno fa, finiti in buona parte in astensionismo. E le punte maggiori sono nel Nord, in Veneto e Liguria. «Abbiamo perso voti soprattutto su un fronte», è l'analisi nell'inner circle renziano, «quello dell'immigrazione». Non è stato lo scontro col sindacato, la battaglia sulla scuola, la situazione economica: «anzi, la lenta ripresa dell'economia inizia ad essere percepita, anche se ora dobbiamo pensare ad un'iniziativa seria sul fronte della povertà», nonostante il «tesoretto» sia sfumato in bonus pensioni. No: è l'esplodere del dramma immigrazione, con le ondate di sbarchi sulle nostre coste e la rabbia e la paura su cui soffiano Lega e populisti vari, che però «fa breccia anche nel nostro elettorato: persino in Umbria abbiamo sofferto per questo, più che per il resto».

Poi c'è il fronte interno al Pd, cui Renzi vuole metter mano. Per lunedì prossimo ha convocato una Direzione, e lì andrà alla resa dei conti con l'ala dura della minoranza: «Non si può continuare così, con il libero dissenso che si trasforma in libero arbitrio e un pezzo di Pd che cerca di fare goal nella nostra porta: servono nuove regole di convivenza», sbotta il renziano Giachetti. E il premier la pensa come lui. Medita di spostare al partito Ettore Rosato, con Lorenzo Guerini alla guida del gruppo.

E manda un messaggio a Bersani & Co: «Lunedì», ha annunciato ai suoi, «ci guarderemo nelle palle degli occhi, e voglio vedere cosa ha il coraggio di dire chi ha rilasciato dichiarazioni contro il proprio partito mentre si aprivano le urne».

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