A sera, il premier Gentiloni si fa intervistare dal Tg1 per dire a chiare lettere che «il codice di condotta per le Ong è un pezzo fondamentale di una strategia, che sta producendo, piano piano dei risultati», il che vuole dire «che vince lo Stato e perdono gli scafisti e i trafficanti di esseri umani».
È il segnale che la spaccatura interna al governo sul caso Ong non è sanata, e che Palazzo Chigi deve nuovamente intervenire per arginarla, ribadendo l'appoggio senza se e senza ma alla linea segnata da Marco Minniti, e contestata (nuovamente ieri, in un'intervista) da Graziano Delrio. Non è bastato l'intervento del Quirinale a sostegno del ministro dell'Interno, con cui lunedì sera si era sperato di chiudere la querelle, facendo rientrare la minaccia di dimissioni del titolare del Viminale. Che ieri era di nuovo assai irritato, e ai «buonisti» (anche del suo partito) replica secco: «Mettere l'accento solo sull'accoglienza non è buona politica».
Maggioranza e il Pd sono spaccati sul delicato tema della gestione dei flussi migratori, e lo stesso Matteo Renzi, che pure nei colloqui di questi giorni con Gentiloni ha assicurato pieno sostegno al governo anche sul fronte libico, non nasconde con i suoi una certa preoccupazione per il pressing «umanitario» di mondi che hanno peso sull'elettorato dem, dall'associazionismo cattolico a Repubblica. E ha usato toni critici per certi «eccessi di protagonismo» nel governo, riferiti alle minacce di dimissioni dell'alfiere della linea dura, ossia Minniti. Su cui si concentrano anche i mugugni di ministri renziani come Maria Elena Boschi.
Ieri mattina in molti hanno fatto un salto sulla sedia scoprendo che Delrio era tornato alla carica e, dalle ospitali colonne di Repubblica (impegnata da par suo in una difesa strenua dei Veri Valori della Vera Sinistra) ha rilanciato: «Se c'è una nave di una Ong vicina a gente da soccorrere, non posso escluderla. E anche se non ha firmato il codice di autoregolamentazione, sono obbligato a usarla per salvare vite umane». Nessun passo indietro del ministro dei Trasporti rispetto all'oggetto dello scontro che ha portato Minniti sull'orlo delle dimissioni, tra domenica e lunedì. Tanto che più d'uno, nel governo, avanza un sospetto: «Se Graziano si espone così, deve avere un qualche avallo da Renzi». Nella giornata di ieri Delrio è stato gratificato dall'applauso congiunto del mondo cattolico e della sinistra-sinistra. Con Avvenire e la Caritas che lo lodano e il responsabile migranti del Vaticano, intervistato dall'Osservatore romano, che avverte: «Le politiche migratorie restrittive hanno spesso contribuito ad aumentare l'offerta di canali alternativi di migrazione». Mentre da Mdp arrivano i «je suis Delrio» di Enrico Rossi o Arturo Scotto, che indicano il ministro come unico baluardo contro la deriva destrorsa del Pd.
Il premier, ieri, era impegnato ad incassare gli elogi dell'inviato dell'Onu per la Libia alla missione italiana a sostegno della guardia costiera di Tripoli. I suoi, nel frattempo, cercavano di spegnere i nuovi focolai di tensione, e la comprensibile irritazione di Minniti per il bis di Delrio. Che nei giorni scorsi aveva più volte fatto presente che «le mie preoccupazioni sono condivise anche sul Colle».
E siccome il ministro delle Infrastrutture è considerato assai vicino a Mattarella, l'intervento del Colle a sostegno di Minniti è stato chiesto dal governo anche per fugare un dubbio che rischiava di indebolire la linea del governo.
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