I l Parlamento è chiuso, il governo in vacanza (sia pur breve, sobria e low profile ), Roma deserta ma nella domenica pre-Ferragosto Matteo Renzi è ovunque. A San Rossore a fare un bagno di folla e di selfie tra gli amici scout, dove confessa che il suo nome-totem era «Grillo esuberante»; sul Financial Times a rispondere a Mario Draghi e a spiegare che «le riforme le decido io» e che non si fa dettare la linea da Bce, Troika o Unione Europea; sulla Stampa a mandare al diavolo le élite nostrane, quelle «classi dirigenti che per vent'anni hanno nascosto le loro responsabilità e le loro manchevolezze dietro quelle, ancor più gravi della politica: ma ora la musica è cambiata, e sono prontissimo ad aprire un nuovo fronte polemico». Con chi? L'elenco lo fa lui: «Professori, analisti, editorialisti, accademici», che spesso fanno parte della «solita compagnia di giro che firma appelli su appelli, qualunque appello, senza nemmeno leggerlo», ad esempio per dire che «la riforma del Senato è autoritaria».
Renzi pare assai deciso a riempire da protagonista unico il vuoto della politica ferragostana, e basta l'agenda diffusa ieri da Palazzo Chigi per capirlo: mercoledì sarà a Milano per una visita blitz ai cantieri di Expò 2015, poi a Roma per salutare il Papa che parte per il suo viaggio nella Corea del Sud. Il 14 agosto, come aveva promesso, sarà in tour nel Mezzogiorno - Napoli, Palermo, Reggio Calabria - per «fare il punto sull'utilizzo dei fondi Ue».
Il premier non ha mai risparmiato sarcasmi alla compagnia dei «professoroni» che gridano alla svolta autoritaria «ogni volta che si prova a cambiare qualcosa», ma ora mette anche le mani avanti, consapevole che lo aspetta un autunno infuocato in cui dovrà rispondere di ogni sua mossa: «Ora c'è una parte di quei salotti che, dopo aver pronosticato una nostra sconfitta, immagina di farmi avere una ripresa agitata a settembre, e non si rendono conto che ogni loro attacco mi spinge a darci dentro ancora di più», assicura bellicoso. Che è più o meno lo stesso aggettivo ( pugnacious ) usato dal Financial Times per definire l'intervista concessa all'autorevole giornale della City proprio nelle ore in cui, venerdì, il Senato licenziava la «madre di tutte le riforme», come la chiama Renzi. Con FT il premier è netto: «Continueremo ad abbassare le tasse, faremo cose rivoluzionarie», promette. Ai moniti della Bce replica con più di una punta di orgogliosa guasconeria, lanciando la sua sfida ai mercati e alle istituzioni internazionali e solleticando l'orgoglio patrio: «Sono d'accordo con Draghi quando dice che l'Italia ha bisogno di fare le riforme, ma il modo in cui le faremo lo decido io, non la Troika, non la Bce, non la Commissione europea». Toni e concetti sono gli stessi anche nell'intervista alla Stampa : il Pd, ricorda, «ha vinto le elezioni ed è il partito che ha preso più voti in Italia». Dunque se qualcuno - «editorialisti e analisti» nostrani in testa (compreso il solito Eugenio Scalfari che, dopo aver invocato l'avvento della Troika al posto di Renzi, ieri spiegava che Draghi gli ha dato retta chiedendo ai governi europei di «cedere sovranità alla Ue» in materia economica) vuole interpretare le parole del capo della Bce per sostenere che sia la Ue a decidere cosa fa l'Italia «non ci siamo: non abbiamo bisogno di spinte da Bruxelles», perché la rotta è già tracciata ed è il programma di riforme del suo governo.
In ogni caso, assicura Renzi, l'Italia rispetterà tutti gli impegni presi, e nonostante il quadro economico complicato dalla recessione ancora in atto, il 2014 si chiuderà con il rapporto deficit/Pil «al 2,9%». Certo più alto di quanto il governo aveva stimato nel Def (la previsione era 2,6%) ma sotto il paletto Ue del 3%, che è «una regola vecchia, ma è una questione di credibilità e reputazione».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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