Renzi sprona i suoi Ma sull'Italicum chiude a Forza Italia

Il premier ironizza: "L'unica cosa non di sinistra fatta è stata vincere le elezioni". Poi loda la legge elettorale e agita lo spauracchio del voto

Renzi sprona i suoi Ma sull'Italicum chiude a Forza Italia

«L'unica cosa non di sinistra che abbiamo fatto è stata vincere le elezioni». Matteo Renzi sceglie l'ironia per entrare nell'appassionato dibattito estivo aperto dalla dura requisitoria del vignettista principe della sinistra italiana, Sergio Staino, contro la minoranza Pd.

Il premier, dalla breve vacanza che si è concesso in Toscana (il 18 agosto sarà ad Expo a ricevere la Merkel), interviene attraverso la rubrica delle lettere all' Unità e cerca di risvegliare l'orgoglio di una base Pd frastornata dalla guerra fratricida intrapresa dalla sinistra del partito contro il proprio premier. Ricorda il 40% delle Europee, «che non è proprio la stessa cosa del 25% di un anno prima» e rivendica anche il risultato delle Regionali, dove si è persa sì la Liguria ma «abbiamo recuperato Piemonte, Sardegna, Abruzzo, Campania e Calabria». Con il suo Pd, sottolinea, «c'è una sinistra che vince e governa. Si può fare meglio? Sempre. Ma forse dovremmo valorizzare di più quello che stiamo facendo». E Renzi rivendica il valore «di sinistra» delle cose fatte da quando lui è alla guida del Pd e del governo: dall'ingresso nel Pse agli 80 euro, dal Jobs Act al divorzio breve al falso in bilancio. Fino all'Italicum, «una legge elettorale che toglie il rischio di tentazioni neocentriste».

Proprio quell'Italicum, ormai legge dello Stato, che oggi è uno degli oggetti del contendere sulla strada della riforma costituzionale: Forza Italia, in cambio di una riapertura sulla abolizione del bicameralismo, vuole che si torni dal premio di maggioranza alla lista al vecchio premio di coalizione del Porcellum, che agevolerebbe la riorganizzazione del cartello elettorale di centrodestra. Ipotesi che il Pd di Renzi, che ha rottamato le antiche coalizioni, non prende in considerazione. Il ritorno in campo del Nazareno resta dunque molto lontano, anche se il vicesegretario democrat Lorenzo Guerini ricorda che «il pezzo di strada fatto insieme a Fi è stato positivo» e si augura «una ripresa di responsabilità e di disponibilità».

Guerini lancia anche un avvertimento pesante a chi - anche dentro il Pd - sta freneticamente provando a far cadere il governo Renzi, con l'aiuto di Fi, Lega e grillini: «Senza i voti del Pd - ricorda - non si può costruire alcuna maggioranza e non c'è alcuna alternativa possibile a questo esecutivo, se non le elezioni». Una precisazione che lascia intendere quando sia pesante il clima attorno al voto d'autunno sulla riforma del Senato. La minoranza Pd ha ormai scelto la strada della guerriglia, e non esclude più neppure la scissione. Ma nella stessa sinistra del partito inizia a farsi sentire la reazione a quella che Cesare Damiano descrive come la coazione a ripetere degli ex Ds: «Non possiamo continuare in eterno ad uccidere i nostri leader». Dopo l'invettiva di Staino contro gli anti-Renzi («Nessuno vi sopporta più») è arrivato l'altolà del governatore toscano Enrico Rossi, che ricorda che persino il loro idolo Berlinguer era per la riforma del bicameralismo e il superamento del Senato elettivo. Il sindaco di Pisa Marco Filippeschi, ex Ds anche lui, invita gli amministratori locali a sostenere la riforma: «Il Senato delle autonomie è un nostro obiettivo, ed era nel Dna dell'Ulivo», ricorda.

E ieri è tornato a farsi sentire anche Giorgio Napolitano, che in una puntuta risposta a Scalfari nota come lui (e la minoranza Pd) diano addosso ad una riforma invocata per decenni solo in odio a chi la propone, ossia Renzi: «Si sta finendo per parlarne essenzialmente in funzione di come si giudica, di che cosa ci si aspetta o si teme dall'attuale Presidente del Consiglio».

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