Pasquale Napolitano
Roma Le primarie riconsegnano la leadership del Pd a Matteo Renzi. L'ex premier, a due mesi e mezzo dalle dimissioni, ritorna al timone del Partito. In una competizione, il cui risultato è apparso scontato fin dall'inizio, il rottamatore fiorentino supera, senza troppa fatica, gli sfidanti Michele Emiliano e Andrea Orlando. La mozione renziana (i dati non sono ancora quelli definiti) ottiene il 71,1 %. Il ministro della Giustizia arriva secondo con il 21,1% mentre Michele Emiliano si ferma al 7,8%. Rispetto alla vittoria del 2013, Renzi perde circa mezzo milione di voti. L'operazione di normalizzazione del Pd va in porto ma sul Nazareno soffia un nuovo vento di scissione. I sostenitori di Orlando lasciano trapelare che potrebbero esserci altri addii se il neosegretario dei democratici decidesse di non percorrere la strada di un'alleanza di centrosinistra. L'ex capo del governo supera la soglia del 58%, necessaria ad avere il controllo assoluto dell'assemblea convocata per il 7 maggio. A conti fatti, l'ex sindaco di Firenze potrebbe guidare il Partito senza avere bisogno dell'appoggio delle correnti di Area Dem guidata dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. E nemmeno dei voti della componente di Sinistra è Cambiamento del ministro Maurizio Martina, pronto, comunque, a diventare il numero due del Pd. Un plebiscito che non copre i punti dolenti. Lorenzo Guerini esulta per l'affluenza che oscilla tra 1,9 e 2 milioni ma ha memoria corta. La prima ombra sulla vittoria di Renzi arriva dal dato sulla partecipazione: rispetto al 2013 le primarie di ieri hanno fatto registrare un calo di un milione di elettori. I dati sull'affluenza certificano una differenza tra Nord e Sud: nel Mezzogiorno il trend è in crescita rispetto all'ultima consultazione mentre nel Settentrione cala la partecipazione. Un passaggio su cui Francesco Boccia, sostenitore della mozione Emiliano invita a riflettere il futuro segretario. La fuga dai gazebo aumenta in alcune regioni rosse come l'Emilia Romagna dove forse ha pesato la scissione nei Dem. Anche a Roma la partecipazione è in picchiata. Nonostante i disastri del sindaco dei M5S Virginia Raggi, sul Pd romano pesano ancora gli scandali di Mafia Capitale e la gestione fallimentare dell'amministrazione di Ignazio Marino. Il Renzi bis decolla dalla terrazza del Nazareno: l'ex sindaco di Firenze ha scelto di tenere il suo primo discorso da segretario del Pd all'aperto, sulla terrazza al terzo piano della sede del Pd a Roma. Renzi incassa la riconferma e prepara la rivoluzione. Il primo punto di rottura rispetto potrebbe essere il ridimensionamento del peso politico del giglio magico nel nuovo assetto dei democratici. Nel 2013, Renzi arrivò a furor di popolo alla guida di un Partito, acciaccato dopo la non vittoria alle elezioni politiche, privo di una linea politica in seguito alle dimissioni del segretario Pier Luigi Bersani.
Oggi, il quadro politico è completamente ribaltato: Renzi si riprende la leadership dopo la bruciante sconfitta elettorale al referendum che gli è costata la poltrona a Palazzo Chigi e con la responsabilità di una scissione. Il messaggio che Renzi proverà a trasmettere è di non essere più l'uomo solo al comando.
La prima vittima del nuovo corso dovrebbe essere Maria Elena Boschi, la madrina della Riforma, riapparsa in felpa bianca, ieri sera, al Nazareno, dopo mesi di assenza dai riflettori, per commentare il risultato delle primarie. Archiviato il discorso Pd, la nave renziana punta direttamente sul voto anticipato. Perché l'ossessione del rottamatore resta la poltrona di Palazzo Chigi.
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