A vanti tutta col Rosatellum: il Pd vota - per una volta - unanime a favore dell'ultimo tentativo di fare una legge elettorale.
Da quando Matteo Renzi ha messo il silenziatore alla Direzione Pd, abolendo lo streaming, le riunioni finiscono sempre tra abbracci e pacche sulle spalle. E così è andata anche ieri, con gli oppositori della sinistra interna - da Andrea Orlando a Gianni Cuperlo - che hanno applaudito le «aperture» ad una coalizione di centrosinistra del segretario: «È un successo della mia linea», dice il ministro della Giustizia, secondo il quale «la reintroduzione del concetto di coalizione è fondamentale». E persino dalle parti di Giuliano Pisapia si parla con circospetto interesse di «cambio di toni» e di «aperture a sinistra» del leader Pd: del resto l'ex sindaco di Milano ha urgente bisogno di levarsi di torno il diabolico duo Bersani-D'Alema, e non gli resta - come gli suggerisce anche Prodi - che di attaccarsi al Pd. Un Pd pronto, dice il suo segretario, a fare il «baricentro» di una coalizione con vari cespugli, inclusa la sinistra pisapiana.
Renzi vuol portare a casa una legge elettorale che assicurerebbe al Pd più seggi (175 alla Camera, dicono le proiezioni fatte fare dal Nazareno, una quarantina in più che con le attuali regole in entrambe le Camere) e che penalizzerebbe non solo i Cinque Stelle, che sui collegi uninominali avrebbero grossi problemi, ma anche gli scissionisti di Mdp. «O si fa il Rosatellum, o ci teniamo il Consultellum, tertium non datur», dice Renzi alla Direzione. Per farlo, deve tenere compatto il suo partito nella difficile sfida del voto segreto a Montecitorio. E questo significa anche ammansire le varie correnti con rassicurazioni sui posti in lista.
L'ipotesi di mettere il voto di fiducia, che assicurerebbe il risultato impedendo gli scrutini segreti, si è scontrata con un ostacolo non da poco: le resistenze del Quirinale. Non solo per un problema di stile: il voto di fiducia, sia pur «tecnico», sulla legge elettorale - tanto più a fine legislatura - sarebbe una forzatura pesante, che comporterebbe furiose polemiche da parte di chi si oppone al Rosatellum. Ma creerebbe un cortocircuito pericoloso con la sessione di bilancio, che sta partendo al Senato. «È vero che a Palazzo Madama, sul Def, il governo ha incassato 181 voti. Ma la realtà è che la maggioranza politica, dopo lo strappo di Mdp, non c'è più - fa notare un esponente del governo - e i numeri ballano anche in commissione».
Per questo dal Colle si guarda con qualche preoccupazione alla accelerazione impressa dal Pd alla legge elettorale, che secondo il ruolino di marcia potrebbe arrivare in Aula già la prossima settimana; e si sarebbe preferito un calendario «più calmo» e meno serrato. Anche a costo di prolungare di qualche settimana la legislatura: mettere in sicurezza la Finanziaria dai marosi del Senato, e poi votare la legge elettorale. Rimandando le urne a fine aprile: «Un mese in più che problema sarebbe?», è stato il succo del ragionamento recapitato anche al vertice del Pd.
Ma Renzi, spiega chi ha seguito la partita, «vuole portare a casa il Rosatellum prima del voto in Sicilia e dei suoi possibili contraccolpi interni», e anche per questo l'ipotesi di blindare la legge elettorale con la fiducia (solo alla Camera, perché al Senato il voto segreto non è previsto) è stata a più riprese accarezzata al Nazareno. E resta convinto che la legislatura si debba chiudere con il voto della Finanziaria, a fine anno. Per votare a marzo.
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