Contro Matteo Renzi la sinistra agita il fantasma di Romano Prodi. Mentre nel Partito democratico la minoranza dem minaccia la rottura sulla legge di Stabilità, la sinistra lavora alla formazione della "Cosa rossa" per fare lo sgambetto al premier alla tornata elettorale di primavera. Secondo Repubblica, i fuoriusciti del Nazareno e gli scontenti da Nichi Vendola guardano al Professore come leader del nuovo partito. Ma l'ex premier si chiama fuori: "Come ho già detto più volte ribadisco che da tempo sono fuori dalla Politica. Perciò a chiunque si voltasse verso di me dico che non troverà nessuno". A scanso di equivoci il diktat piddino è di bypassare. Quelle stesse primarie che hanno portato Renzi dove si trova oggi.
Le elezioni comunali di Bologna, che si terranno la prossima primavera, potrebbero essere l'occasione giusta per un primo laboratorio per la "Cosa rossa". Il nuovo partito si collocherebbe a sinistra del Pd. Un nome papabile per la nuova formazione di sinistra potrebbe essere Amelia Frascaroli, candidata vicina a Vendola e Prodi di cui è stata allieva. Per ora il progetto è ancora in una fase embrionale. Tanto che lo stesso Prodi ha fatto sapere che non ha alcuna intenzione di correre nuovamente per la presidenza del Consiglio. L'unica certezza è che a sinistra è tornata la voglia di un Ulivo che si contrapponga a quel Partito della Nazione a cui sta lavorando Renzi. "Il terreno programmatico è decisivo - ha spiegato Vendola nel videoforum di Repubblica.it - voglio capire che idea di comune hai". Secondo indiscrezioni, Pippo Civati potrebbe essere il candidato unico della formazione ulivista. Ma per le elezioni politiche la strada è ancora lunga. Renzi non intende lasciare Palazzo Chigi prima del 2018. Il primo step sono, dunque, le comunali.
Tra tutti Comuni che andranno al voto, Roma rischia di essere il calvario peggiore per il Pd. Ignazio Marino "minaccia" di ricandidarsi se si faranno le primarie a Roma. Ma il Pd ha già pronta la contromisura per tenere il sindaco dimissionario lontano dai gazebo: primarie di coalizione con un solo candidato dem. La norma è già prevista dallo Statuto del Pd. Basta l’ok del 65% dell’assemblea e si va con un solo candidato. Insomma, non c’è da inventarsi niente. Il problema semmai, Marino o non Marino, è quello di trovare quel candidato unico che possa risollevare le sorti del Pd a Roma. L’asso da calare nel marasma capitolino per primarie che, se alla fine si faranno, sarebbero un pro-forma. Alla Romano Prodi, come si usa dire. Al Pd sono al lavoro su questo schema. E non è un lavoro da poco. Specie se c’è Marino ogni giorno pronto ad aprire un nuovo fronte. Per questo la guerra con il sindaco dimissionario va chiusa in qualche modo, si fa presente in ambienti dem. Chi conosce Marino e non lo ama, parla del chirurgo come di una persona concreta. "Venderà cara la pelle finché non avrà una compensazione". Un ruolo da qualche parte, insomma. Nella questione romana si intreccia anche una dinamica tutta interna alla minoranza Pd. Dopo l’avvicinamento a Renzi, Matteo Orfini non gode di particolare simpatia tra gli ex-colleghi della minoranza. L’altro giorno è stato creato un caso sulla proroga di Orfini a commissario del Pd romano. "Una ratifica e per giunta via mail - accusa un esponente della minoranza dem - senza nemmeno uno straccio di discussione".
Quanto alle altre comunali di rilievo sempre più concreta la candidatura (senza primarie) di Giuseppe Sala a Milano. Poi c’è Napoli. "Lì c’è un partito da ricostruire - dicono - la volta scorsa non siamo nemmeno andati al ballottaggio...".
Al Nazareno cercano un nome che parli alla città. Una candidatura esterna, insomma. Al momento restano due i nomi più accreditati: il procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti e il presidente degli industriali, Ambrogio Prezioso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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