Il libro scomparso di Speranza

"La responsabilità era la sua". Così Speranza scarica Conte sul Covid

Le rivelazioni nel libro del ministro. Errori nella comunicazione? "Scelte del premier. Chi governa non cinguetta sui social"

"La responsabilità era la sua". Così Speranza scarica Conte sul Covid

Alcuni giorni fa l’epidemiologa Antonella Viola, ospite a Otto e Mezzo su La7, interrogata sulla risposta del governo alla pandemia ha espresso un parere tutto sommato positivo: Conte non avrebbe fatto peggio, a suo dire, di altre democrazie liberali occidentali. Si può essere d’accordo o meno col suo giudizio, ovviamente. Ma la Viola ha tenuto a precisare che su un punto l’esecutivo ha toppato alla grande, al pari degli scienziati: quello della comunicazione. Promesse mirabolanti difficili da mantenere (“Vivremo un Natale sereno”, ricordate?), poca trasparenza, insufficienti spiegazioni agli italiani. E su questo si fa fatica a dissentire.

Nel libro di Roberto Speranza, scritto e mai pubblicato, alla “indispensabile comunicazione” viene dedicato un intero capitolo. Partiamo da un primo punto: nelle sei paginette manca una minima autocritica, non tanto personale, quanto a livello di governo. È vero che, soprattutto nella prima fase, il ministro della Salute tiene "un profilo istituzionale ma riservato”: non va quasi mai in tv, parla “poco con i giornali” e non ama particolarmente i social network. Ma a comunicare con il Paese è il primo ministro: ed è un disastro. Ricordate la drammatica notte del 7 marzo, con la conferenza stampa notturna che diede il via alla fuga dei lombardi verso altre regioni? Vi ricordate le lunghe attese per le dirette Facebook del premier? Speranza non critica direttamente Conte, ma neppure lo elogia. Sostiene che i provvedimenti li costruiscono insieme, “io sono la cinghia di trasmissione tra Cts e governo”, ma sottolinea cinico che “a impostare il modello comunicativo non spetta a me”. Ad “assumersi la responsabilità di comunicare” le misure politiche è il capo del governo. Suoi dunque gli oneri e gli errori.

Sarà un’impressione, ma quella di Speranza sembra una nemmeno troppo velata critica a Conte. Dice infatti: “In questi mesi tutti parlano tanto: scienziati, presidenti di Regione, politici, opinionisti. Ma io credo che chi è al governo debba comunicare attraverso ciò che fa, non cinguettando sui social”. E chi, se non Conte, in quelle fasi fece ampio utilizzo dei social? Le dirette Fb del premier, la sua massiccia presenza mediatica, le fughe di notizie sono forse le più grandi pecche della prima ondata della pandemia. La comunicazione fu un disastro, sono tanti a dirlo: le bozze dei dpcm trapelate sui media, il casino sui congiunti, i decreti spiegati male che necessitano di migliaia di Faq. Un caos totale. E Speranza ci tiene a precisare che la "responsabilità" fu tutta del premier. Come a dire: io me ne lavo le mani. Il ministro non lo precisa, ma quando scrive che “prima si fanno le cose e poi si parla” o “di cose da fare ce ne sono così tante che per parlare manca proprio il tempo”, il lettore nota un riferimento critico anche a Giuseppi e al prode Rocco Casalino. Pur senza nominarli.

Speranza nel libro spiega che sin da subito in tanti gli offrono un salotto “consono alla situazione”. Si mettono in fila Lucia Annunziata, Bianca Berlinguer, Fabio Fazio e Giovanni Floris, dove andrà volentieri e con frequenza. Il ministro sostiene di aver tentato di spiegare agli italiani “la gravità della situazione”. E qui ricorda un aneddoto curioso. Per creare un “clima di estrema attenzione e responsabilità” nei cittadini cerca "l’appoggio di trasmissioni molto popolari come quella di Mara Venier e quella di Barabara D’Urso”. Scelta corretta, ovviamente. Alla fine delle dirette in cui “le conduttrici spiegano le ragioni per cui è bene non uscire” e “trasmettono il messaggio ‘restate a casa’”, il ministro invia loro un “messaggio di apprezzamento”. Per Speranza l’obiettivo è spiegare “all’opinione pubblica” che deve “usare correttamente la mascherina”, stare a casa, mantenere la distanza e via dicendo. Coinvolge cantanti, attori e influencer nella campagna #iorestoacasa. E alla fine riesce a far scattare il “senso di responsabilità” sperato con una “adesione di popolo corposa e convinta” alla lotta al virus. Ma è davvero andato tutto così rose e fiori come ci racconta Speranza?

In realtà sulla comunicazione il governo ha commesso errori grossolani ad ogni livello. Da Mara Venier il premier andò in diretta il 23 febbraio a dire che gli italiani non dovevano abbandonarsi al panico perché il super governo vegliava su di loro. “Vedrete che ce la faremo, conterremo il contagio e tutti insieme usciremo vittoriosi”, disse Conte. Forse in quella fase avrebbe fatto meglio a concentrarsi di più sui decreti che alle dirette di Domenica In o sui social. Ricordate i dpcm presentati su Facebook quando ancora non erano stati firmati, per poi modificarli poche ore dopo? E il mancato coinvolgimento del Parlamento? Oppure il ministro Boccia che, per stuzzicare la Lombardia, si presentò il conferenza stampa con la mascherina appesa all’orecchio? O ancora il commissario Borrelli che disse di non volerla indossare? Il racconto di Speranza, insomma, stride con quanto successo in quelle settimane. Forse è vero che il ministero della Salute si attenne a comunicazioni più logiche (anche se non mancò uno spot con Michele Mirabella per rassicurare gli italiani sul fatto che “non è affatto facile il contagio” da coronavirus), ma il governo nel suo insieme fu caotico, approssimativo, raffazzonato. E le cose oggi non sono molto cambiate.

Lo dice anche l’epidemiologa Viola.

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