Ricollocamenti, Roma frena sull'accordo Ue. Oggi si decide al vertice di Lussemburgo

Tunisia e Libia sono i due fronti caldi dell'immigrazione di questi primi sei mesi dell'anno

Ricollocamenti, Roma frena sull'accordo Ue. Oggi si decide al vertice di Lussemburgo
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Tunisia e Libia sono i due fronti caldi dell'immigrazione di questi primi sei mesi dell'anno. Dalle coste tunisine sono salpati in 26.676, da quelle libiche in 22.873. I restanti arrivano invece da Turchia (1.987) e Algeria (292). Insomma, la quasi totalità dei circa 59mila sbarchi del 2023 - il dato del «cruscotto statistico» del Viminale è aggiornato a ieri e registra un incremento rispetto al 2022 di circa il 146% - provengono da Tunisi e Tripoli. Con il dettaglio, non indifferente, che siamo alla vigilia dei mesi estivi, quelli storicamente più critici sul fronte sbarchi.

Così, dopo la visita di martedì in Tunisia e il lungo incontro con il presidente Kais Saied, ieri Giorgia Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi il premier del governo di unità nazionale della Libia, Abdul Hamid Dbeibah. Non si è parlato solo di immigrazione, certo. Ma è evidente l'intenzione del governo italiano di accelerare un confronto con i due Paesi da cui partono la quasi totalità dei migranti che poi arrivano in Italia. E provare così a creare un canale di cooperazione bilaterale che possa favorire una gestione dei flussi più ragionevole, grazie proprio agli accordi con Tunisi e Tripoli. La verità è che per quanto sia alle prese con una deriva autoritaria, Saied può comunque farsi garante di intese che - lo dicono i numeri - negli ultimi due mesi hanno portato a una sensibile riduzione delle partenze dalla costa tunisina (merito dell'azione della Guardia costiera di Tunisi dopo le due visite del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, ma anche del maltempo). Mentre è ben più complessa la situazione della Libia, con un primo ministro ad interim ancora alla ricerca di una legittimazione interna e di una possibile candidatura alle elezioni che dovranno comporre le fratture tribali che dilaniano il Paese.

Non a caso, l'Italia punta soprattutto sul primo fronte. Tanto che lunedì Antonio Tajani sarà a Washington per sostenere le ragioni della Tunisia nel braccio di ferro con il Fondo monetario internazionale (c'è da sbloccare un prestito da 1,9 miliardi che potrebbe essere determinante per evitare la bancarotta del Paese). «Incontrerò il segretario di Stato Antony Blinken e il capo dell'Fmi», spiega il ministro degli Esteri. Con l'obiettivo di affrontare anche «il tema della stabilità del Mediterraneo». Tajani, insomma, insisterà sulla proposta italiana: «Aiutiamo subito la Tunisia» erogando «una prima tranche di fondi» e poi, se faranno le riforme richieste, «stanzieremo anche la seconda» e così via.

Ma il dossier immigrazione a Palazzo Chigi si gioca su un doppio binario. Quello dell'azione diplomatica italiana e quello europeo. Oggi, infatti, in Lussemburgo si riuniscono i ministri degli Affari interni dell'Ue per decidere sul Patto migrazione e asilo. Le posizioni, a ieri sera, erano ancora distanti. E, se mai si arriverà a una decisione, sarà a maggioranza.

Il compromesso - elaborato dalla presidenza svedese - prevede infatti poche concessioni al «fronte della solidarietà» (nessun obbligo di ricollocamento per i Paesi non di primo approdo e una compensazione di 20mila euro per ogni rifugiato non accolto) e una certa rigidità al «fronte della responsabilità» (quindi nessuna velocizzazione delle procedure di frontiera per i respingimenti). Una posizione che - almeno a ieri sera - non convinceva affatto né Meloni, né Piantedosi (che sarà oggi in Lussemburgo).

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