
La catastrofe si abbatte sulla Procura di Milano in formato pdf, con 52 pagine depositate prima dell'ora di pranzo nella cancelleria del tribunale del Riesame. Quelle 52 pagine smontano alla radice le accuse di corruzione lanciate dalla Procura contro il modello Milano: "mancano le prove". Sono le motivazioni delle ordinanze con cui all'inizio di agosto il tribunale aveva liberato due indagati dell'inchiesta sull'Urbanistica colpiti dalle manette su richiesta dei pm: l'architetto Alessandro Scandurra e il costruttore Andrea Bezziccheri, due delle sei vittime della linea dura inaugurata dal pool guidato dal procuratore Marcello Viola e dal suo vice Tiziana Siciliano. Bezziccheri era finito addirittura in cella, Scandurra ai domiciliari come altri quattro indagati, tra cui il costruttore vip Manfredi Catella.
Uno dopo l'altro, all'inizio di agosto, il tribunale del Riesame aveva liberato tutti, smentendo bruscamente sia le tesi della Procura che il comportamento del giudice Mattia Fiorentini che aveva accolto in blocco le richieste di arresto. Già allora quell'ondata di scarcerazioni aveva fatto capire che per la Procura tirava una brutta aria.
Per un mese la Siciliano e il suo staff si sono cullati in una illusione: che il tribunale del Riesame nelle sue motivazioni scrivesse che i gravi indizi di colpevolezza c'erano, e che gli ordini di arresto venivano revocati solo perché non c era più pericolo che i sei indagati una volta liberi tornassero a delinquere. Le speranze dei pm si inabissano ieri davanti alle motivazioni del tribunale. "Difetta l'individuazione degli elementi essenziali del reato contestato", si legge nel passaggio cruciale. Tradotto: non c'è alcuna prova della corruzione.
La botta per la Procura è drammatica perché il tribunale smonta il teorema che stava alla base del salto di qualità impresso dai pm alle inchieste sull'Urbanistica cittadina: quello secondo cui dietro le decine di disinvolture edilizie che hanno visto sorgere grattacieli al posto di capannoni non c'era solo una interpretazione sbrigativa delle procedure urbanistiche ma l'esistenza di una Cupola affaristico e politica, in cui il vero governo della città era affidato ai signori del mattone. A reggere il sistema, la corruzione: individuata dai pm, in assenza di qualunque passaggio di contante, negli incarichi professionali affidati dai costruttori agli architetti inseriti nella commissione Paesaggio, svincolo cruciale degli iter burocratici.
Quanto fosse cruciale per i pm la difesa di questo teorema si era visto quando per convincere il tribunale del Riesame a confermare gli arresti la Procura aveva depositato migliaia di chat prelevate dai telefoni degli indagati per dimostrare la sudditanza della giunta comunale - l'ex assessore Giancarlo Tancredi e anche il sindaco Beppe Sala - ai voleri della Cupola: in particolare di Catella e del suo archistar di fiducia Stefano Boeri. Tutto inutile, per il tribunale la Cupola non esiste, e non esistono le corruzioni: che erano al massimo abusi d'ufficio, reato abrogato e per il quale comunque non si può arrestare nessuno.
E adesso? Nei prossimi giorni arriveranno le motivazioni anche delle altre ordinanze di annullamento degli arresti, compresa quella di Catella. Probabilmente diranno più o meno le stesse cose.
A quel punto la Procura avrà solo due scelte: andare avanti per la sua strada, puntando a un maxi processo per corruzione ai vertici comunali (sindaco Sala compreso) sulla base di un teorema già smentito dal tribunale. O fare un passo indietro, ammettere che la Cupola non esisteva, e accontentarsi di una sfilza di processi per semplici, ingombranti violazioni edilizie.