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La riforma del Patto di Stabilità può attendere. Bruxelles vuole aspettare le elezioni tedesche

I "falchi" spingono per il ritorno al passato. E oggi la Bce decide sui tassi

La riforma del Patto di Stabilità può attendere. Bruxelles vuole aspettare le elezioni tedesche

L'alibi è bello già pronto: «Materia molto complessa, calma e gesso». Mentre Mario Draghi preme sull'acceleratore per riformare il Patto di Stabilità, onde evitare di rimettere al collo dell'Italia il cappio di regole stringenti su debito e disavanzo, all'opera c'è già chi rema in senso contrario. L'altra scusa prêt-à-porter per dare un calcio al barattolo e lasciare nel limbo ogni processo decisionale è l'alea di incertezza che ancora circonda il voto in Germania e la formazione del prossimo governo, che al momento appare lunga e complicata. Ergo, «non penso ci sarà un accordo entro la fine di quest'anno. Nel 2022? Non ho la sfera di cristallo», spiegava ieri una fonte coinvolta nella preparazione della riunione dell'Eurogruppo che si terrà domani a Brdo, in Slovenia. Un incontro sostanzialmente svuotato di contenuti, non essendo in agenda la discussione sulle regole di bilancio.

Di sicuro, stante lo slancio imprevisto della ripresa fra aprile e giugno, la cui intensità è però ancora tutta da confermare nel secondo semestre, i falchi del Nord scalpitano per rimodulare in fretta le misure di stimolo nonostante la Commissione, e in particolare il responsabile dell'Economia Paolo Gentiloni, ritenga ancora prematuro immaginare i tempi del ritiro del sostegno all'economia. Le pressioni sulla Bce da parte della Bundesbank e dell'ala dura dell'istituto affinché inizi il processo di rottamazione degli aiuti sono tuttavia la cartina di tornasole di tensioni crescenti all'interno di Eurolandia. Nella riunione di oggi Christine Lagarde sarà chiamata a far chiarezza sulle prossime mosse della banca centrale, in particolare sul ritmo dell'acquisto di titoli. I tempi lunghi previsti prima di mettere sul tavolo il rimaneggiamento del Patto di stabilità non promettono nulla di buono: sono il segno di quanto sarà difficile trovare la quadra su una questione che richiede l'unanimità. Di fatto, un timing indefinito lascia aperta la porta al ripristino delle vecchie regole a partire dal gennaio 2023. Prima di allora, Draghi vuole lasciarsi alle spalle norme ormai anacronistiche, soprattutto quella che riguarda le tempistiche di rientro dal debito (un ventesimo di riduzione ogni anno per chi supera il 60% rispetto al Pil), e punta a rendere strutturale il Next Generation Ue così da consolidare un impianto che ha funzionato come mezzo di contrasto della pandemia. La presidenza francese, che reggerà le sorti semestrali dei negoziati tra i governi dal primo gennaio, vorrebbe chiudere la partita entro giugno, ma pronunciarsi sulle date adesso è davvero un esercizio astratto.

Anche perché Bruxelles sembra procedere col freno a mano tirato: la Commissione, spiegava la stessa fonte, «non ha ancora rilanciato la consultazione sulla riforma del two pack e del six pack (i pacchetti che racchiudono la legislazione sulla sorveglianza di bilancio, ndr) e non sono ancora chiari i tempi dell'apertura del cantiere».

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