Se ha ragione Salvini quando dice che «il punto oggi è popolo contro élite, non più destra contro sinistra», all'assemblea di Confindustria di ieri si aveva la netta impressione di essere nel campo delle élite. Quindi, per la proprietà transitiva, anche quella di essere entrati nell'era dello scontro tra industriali e il governo che verrà. Mentre quello vecchio, a trazione Pd - sonoramente bocciato alle elezioni con l'eccezione dei centri storici delle grandi città - era presente, prime file, quasi al completo. Con i 5mila imprenditori della platea arrivati vicini alla commozione nel salutare Gentiloni-Calenda-Padoan. E mentre la politica giallo-verde era in tutt'altre faccende affaccendata, con l'eccezione dell'economista leghista Claudio Borghi, che però se n'è andato via presto. Piaccia o meno, il momento degli industriali è questo: in mezzo al guado. Anche per la discutibile scelta del suo presidente Vincenzo Boccia di schierarsi, nel 2016, appena eletto al vertice, con Renzi per il referendum costituzionale. Un vulnus che oggi fa sentire tutto il suo peso su Confindustria, con il pericolo di una crisi d'identità che ne indebolisca ulteriormente il potere della rappresentanza. Per la prima volta nella sua storia, Viale dell'Astronomia rischia di trovarsi così platealmente all'opposizione rispetto a un governo del Paese. Quel governo Conte che, ironia della sorte, cominciava a nascere al Quirinale proprio mentre all'Auditorium Parco della Musica andava in onda lo stanco rito dell'assemblea annuale. Durante la quale Boccia ha elencato uno per uno i punti del contratto di governo che non vanno affatto bene. Europa, Ilva, no-Tav, Fornero, Jobs Act, Fisco: sul programma scritto dal capo del Centro studi Andrea Montanino e presentato a Verona in febbraio è scritto tutto il contrario e ieri Boccia lo ha ribadito. Peccato però che quel documento non sia mai diventato centrale nel dibattito politico. È tornato fuori solo ieri. Ma con chi ne discuterà, da oggi, Boccia, orfano dei suoi vecchi interlocutori? Con Di Maio neo ministro dello Sviluppo? Questo sarà il tema per Confindustria nei prossimi mesi. Quello di smarcarsi dall'«elitarismo» nel quale è finita prigioniera, per recuperare forza all'interno della sua base. Soprattutto al Nord, dove il dialogo tra imprese e Lega, che governa quei territori da lustri, è il pane quotidiano. Magari potrà aiutare l'esempio dei cugini di Confcommercio. Che non a caso, ieri, con il loro presidente Carlo Sangalli, hanno mandato un messaggio di parziale condivisione dei contenuti di Boccia.
Ma che nei confronti della nuova politica, hanno un atteggiamento molto più aperto e toni più pacati. Lo vedremo nell'assemblea di Confcommercio del 7 giugno. Dove, come noto, le grisaglie sono molte meno. E dove si potrà subito ri-misurare la temperatura dei rapporti tra imprese, governo; popolo ed élite.
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