Il rischio-carcere è minimo ma l'incubo è il voto al Senato

Sul processo a Salvini si può decidere a scrutinio segreto La linea difensiva: un atto politico, non amministrativo

Il rischio-carcere è minimo  ma l'incubo è il voto al Senato

U n sasso negli ingranaggi del processo che punta a stritolarlo: questo, ben più di quanto appaia, è il senso della memoria difensiva che Matteo Salvini ha trasmesso alla Giunta per le autorizzazioni del Senato in vista della discussione di mercoledi prossimo sul suo impeachment per il caso della nave Gregoretti. A fare titolo sui giornali è stato finora l'aspetto politico della memoria difensiva, la chiamata in causa - come corresponsabili della linea seguita nel luglio scorso - degli alleati (all'epoca) di governo, con in testa il premier Conte. Ma è negli allegati alla memoria che si coglie il senso giudiziario dell'operazione, la linea difensiva che il leader leghista intende seguire se il Parlamento darà via libera al processo nei suoi confronti.

Salvini non rischia il carcere: non subito, almeno. Il reato che gli viene contestato è grave - sequestro di persona aggravato - ma esigenze cautelari, visto che non ha più incarichi di governo, non sono immaginabili. Ma la pena che rischia è alta, fino a quindici anni. E, proclami eroici a parte, Salvini non ha alcuna desiderio di vedersi condizionato il futuro politico da una condanna sospesa sulla testa.

Così, ecco gli allegati-chiave: sono le mail che nei giorni convulsi tra il 25 e il 31 luglio circolarono tra alcune delle figure di massimo livello della nostra diplomazia e i loro colleghi europei. Una parte alle 13,36 del 26 luglio ed è firmata da Piero Benassi, ex ambasciatore a Tunisi e dal 2019 consigliere diplomatico di Conte. L'altra, alle 20.28 dello stesso giorno, viene da Maurizio Massari, rappresentante permanente presso l'Unione Europea. Sono mail che per Salvini dimostrano oltre ogni dubbio come la gestione della vicenda Gregoretti fosse a tutti gli effetti una questione di Stato. E non una semplice questione amministrativa, come cercano di sostenere i giudici del tribunale dei ministri di Catania.

La distinzione tra atto politico e atto amministrativo non è un cavillo tecnico: è il perno su cui un eventuale processo all'ex ministro degli Interni dovrebbe ruotare. Perché solo agli atti politici è riconosciuta la insindacabilità da parte della giustizia sia penale che amministrativa. E anche se i provvedimenti specifici al centro dell'inchiesta siciliana sono apparentemente burocratici, secondo Salvini ricadono pienamente nella categoria degli atti politici e istituzionali, e come tali non sono processabili.

Per adesso, però, la battaglia è un'altra: perché sia nel dibattito all'interno della Giunta per le autorizzazioni che nella discussione plenaria nell'aula di Palazzo Madama, più delle questioni giuridiche peseranno le valutazioni di opportunità politica. Valutazioni in parte di piccolo cabotaggio, legate alla sopravvivenza o meno del governo Conte 2; ma anche questioni più spesse, legate all'invadenza della magistratura nella vita politica del Paese. Quanti senatori, a prescindere dagli schieramenti, hanno voglia di riconoscere a un tribunale un sorta di superpotere sui vertici istituzionali del Paese?

È questo il tema che potrebbe fare breccia sia in giunta che in aula.

Le opposizioni appaiono compatte sul no all'autorizzazione; in giunta (23 componenti) ai dieci voti della minoranza potrebbero aggiungersi i tre di Italia viva, sufficienti a portare la bilancia dalla parte di Salvini. Poi la pratica passerebbe al Senato in seduta plenaria: e lì potrebbe accadere di tutto soprattutto se (come consente il regolamento) sul processo a Salvini si votasse a scrutinio segreto.

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