Quando si parla di riforma fiscale bisogna pensare una sola cosa: che un lavoratore che guadagna circa 29.500 euro all'anno, ossia più o meno 1.300-1400 euro al mese, versa un quarto di guadagna allo stato sotto forma di Irpef. Per la precisione 7.527 euro. Il tax rate, ossia la pressione fiscale rispetto al reddito lordo, è infatti del 25,5 per cento. Eppure questa persona, ad esempio un operaio specializzato piuttosto che un addetto di un'agenzia di viaggi, non naviga certo nell'oro. Eppure gli rimangono in tasca 21.968 euro all'anno. E anche se considerassimo le detrazioni per lavoro dipendente o per una moglie a carico si resterebbe attorno ai 5.900 euro di Irpef. Insomma, il tax rate scenderebbe di poco sotto il 20 per cento. Inoltre questa persona con mogie a carico non rientra per limiti reddituali tra i beneficiari degli 80 euro mensili del bonus Renzi: è una detrazione che si annulla sopra la fascia dei 26mila euro annui lordi (26.600 euro con la legge di Bilancio 2018).
Ed ecco che con l'aliquota unica del 23% e la notax area di 12mila euro, il lavoratore dipendente del settore privato si trova a pagare solo 4.023 euro. Risparmiando direttamente tra i 2mila e i 3.500 euro che in una famiglia si trasformano in buona percentuale in consumi. Magari la coppia potrebbe pensare anche a un figlio. Ecco, il segreto della flat tax sta tutto in una percentuale: il 13,7% del tax rate.
È chiaro che i detrattori di questa riforma, come il Pd e il Movimento Cinque stelle, sottolineino per motivi puramente elettorali che la flat tax privilegi i redditi più alti. Non è così. L'aliquota unica ha praticamente dimezzato la pressione fiscale su una famiglia che rientra nella fascia più numerosa di contribuenti italiani. E che, diciamolo, oggi viene tartassata. In silenzio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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