Coronavirus

Ristoratori in piazza: "La nostra fine"

"Se va bene perdiamo il 60%". Protesta alla Regione Lombardia

Ristoratori in piazza: "La nostra fine"

Si stavano appena risollevando dopo la chiusura di almeno due mesi durante il lockdown, gli investimenti per adeguare i locali nella ripartenza e la diminuzione dei coperti. Ora il coprifuoco deciso dalla regione Lombardia (ma anche dalla Campania) azzoppa di nuovo i ristoranti e le trattorie, che rischiano di vedere fuggire i pochi clienti che a vevano riconquistato a fatica. Chi vorrà andare a cena alle 19,30? Chi vorrà mangiare con un occhio allo spaghetto e l'altro all'orologio? Per questo i ristoratori milanesi si sono dati appuntamento alle 15 di ieri davanti alla sede della Regione Lombardia per protestare contro una misura che li penalizza quasi ad personam.

Una cinquantina le persone che si sono radunate, arrabbiate e confuse. «Per noi quest'ordinanza è la morte», gridano, minacciando più massicce proteste giovedì, il giorno dell'entrata in vigore delle nuove regole, Tra essi anche Paolo Polli, il rstoratore che, in seguito alla multa affibbiatagli dai vigili urbani nel corso del sit-in all'Arco della Pace dello scorso 6 maggio, fece lo sciopero della fame. «Chiudere alle 23 e non alle 24 non ha senso è solo un modo per non rimborsare i ristoratori, dovrebbero fare ronde contro la movida, lasciando in pace l'economia», dce Polli.

«Le misure che il governo e la Regione hanno preso fino a oggi sono insostenibili per la gestione ordinaria di tutto il comparto e insopportabili economicamente», dice il portavoce della categoria, Alfredo Zini. Naturalmente i ristoratori sono disposti a fare dei sacrifici in nome della salute, ma ritengono che le misure prese siano già troppo penalizzanti e quindi chiedono ai comuni di scongiurare misure ancora più restrittive e soprattutto aiuti economici per ridurre i costi fissi delle loro attività. «A oggi - continua Zini - abbiamo avuto una diminuzione degli incassi nella migliore delle ipotesi pari al 60 per cento sull'anno precedente» sia a causa della diminuzione della clientela sia a causa dell'aumento delle spese per le sanificazioni, l'acquisto dei dispositivi di protezione personale, i tamponi e i test sierologici ripetuti spesso per tutto lo staff. «Non cerchiamo assistenzialismo ma la riduzione dei costi fissi - continua Zini -. Le misure previste se non collegate a tutele economiche, quali cassa integrazione e moratoria sugli affitti, ma anche sulle utenze, sulle tasse e sui contributi legati al costo del lavoro, diventano insostenibili in quanto non sono state ridotte, ma solo spostate nel tempo e che già da un mese abbiamo iniziato a pagare rateizzando il dovuto».

Protestano anche i produttori di vino per il divieto di vendere alcol anche nei supermercati dalle 18. Di «attacco al buon senso» e di «provvedimento incomprensibile» parla Giovanni Busi, presidente del Consorzio vino Chianti. «Si vuole attaccare e criminalizzare il vino, come fosse la causa degli assembramenti. La cosa incredibile, e che ci stupiamo non venga colta, è che ad essere penalizzate sono soprattutto le persone che dopo il lavoro fanno la spesa e magari per cena comprano una bottiglia di vino. Di solito i giovani, a cui crediamo sia rivolta questa misura, hanno più tempo libero: il vino possono comprarlo anche prima delle 18 e poi berlo fuori, per strada.

Non è difficile da comprendere, ma di cosa stiamo parlando?».

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