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Il risultato del voto? Quello gradito al Cremlino

Pressioni e brogli regalano a Putin i due terzi della Duma. Opposizione silenziata

Il risultato del voto? Quello gradito al Cremlino

Mai come questa volta, in una Russia inquieta per la stagnazione economica e stanca del suo ventennio al potere che minaccia di durare altri 15 anni, Vladimir Putin ha fatto ricorso a un intero arsenale di pressioni e brogli per garantirsi una larga vittoria elettorale. Le consultazioni per il rinnovo della Duma (il Parlamento di Mosca) non sono state eque né prima né dopo le operazioni di voto. Perché prima è stata fatta piazza pressoché pulita dei candidati della vera opposizione, con in testa Aleksei Navalny che è in carcere dallo scorso gennaio, lasciando spazio (salvo rarissime eccezioni) solo a un'opposizione addomesticata a colpi di privilegi ai deputati di partiti veri o posticci in cambio dell'impegno a limitarsi a chiacchiere di facciata; mentre durante e dopo si è assistito a pressioni senza precedenti nei confronti degli osservatori del voto e perfino di Google e Apple, che hanno scandalosamente ceduto alla pretesa di togliere dalla circolazione alcune app sgradite, oltre a brogli talmente sfacciati da spingere il partito comunista (che di quella opposizione tollerata di fatto fa parte da vent'anni) a rifiutarsi di accettare il verdetto ufficiale, insieme a note figure dell'opposizione democratica come l'ex sindaco di Ekaterinburg Evgeny Roizman.

I risultati, immancabilmente, sono stati quelli desiderati dal Cremlino: oltre due terzi dei seggi al partito putiniano Russia Unita, che potrà così continuare a spadroneggiare modificando a piacimento la Costituzione. Ma non tutto si è svolto in modo ottimale per Putin. Perché perfino dalla prigione in cui è rinchiuso, Navalny è riuscito a farsi ascoltare da una parte di quel 40% dell'elettorato russo che ha dichiarato in uno dei sempre più rari sondaggi indipendenti di non trovare sulla scheda un partito che lo rappresenti. La sua campagna per il «voto utile», lanciata dopo che le liste navalniane erano state bocciate per «estremismo», suggeriva di scegliere circoscrizione per circoscrizione il candidato d'opposizione con le migliori chance di successo, a qualsiasi partito appartenesse. Di fatto, questo ha favorito soprattutto i comunisti, che non pochi hanno scelto come male minore e che paradossalmente odiano il filoccidentale Navalny almeno quanto Putin.

Nel pomeriggio di ieri, le schede conteggiate attribuivano a Russia Unita qualche decina di seggi in meno finiti all'opposizione - rispetto al 2016. Poi sono arrivati i voti espressi online, modalità che le autorità avevano caldeggiato per mesi, e uno dopo l'altro i candidati sostenuti dal «voto utile» sono risultati sconfitti. Perfino a Mosca, dove l'opposizione è fortissima, Russia Unita è stata proclamata vincitrice in tutti i 15 distretti elettorali: secondo i dati ufficiali, nella capitale avrebbe votato addirittura il 90% degli aventi diritto, il doppio che nel resto del Paese dove votare online non è possibile. Il partito comunista (che peraltro quando comandava ai tempi dell'Urss non tollerava la minima opposizione e spediva i dissidenti in Siberia o negli ospedali psichiatrici) ha gridato allo scandalo, respingendo la validità del voto online e annunciando proteste di piazza per la sera stessa. Immediatamente l'ufficio del sindaco moscovita le ha vietate, giustificandosi con le restrizioni per il Covid.

Difficile che agli eventuali contestatori dei risultati di ieri vada a finire diversamente da quelli che nei mesi scorsi erano scesi in strada a sostegno di Navalny finendo arrestati a migliaia: la polizia antisommossa è pronta a occuparsi anche di loro, naturalmente per «far rispettare la legge».

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