Politica

La crisi dei bigliettini

Gli appunti del Cavaliere in Aula scatenano una polemica surreale con FdI. L'incontro Giorgia-Salvini: prove di riavvicinamento fra i leader

Ritrovata intesa Meloni-Salvini. Baci e abbracci alla Camera. E la Lega strappa più ministeri

Un doppio bacio, molti sorrisi e un lungo scambio di chiacchiere. Sono le undici di mattina quando, nel cortile di Montecitorio, Matteo Salvini va incontro a Giorgia Meloni, appena uscita a fumare una sigaretta in cima agli scalini che portano all'ingresso del Transatlantico dal lato della buvette. Il clima è evidentemente disteso, lontano anni luce da quello degli ultimi anni. Quando, tra pochi alti e molti bassi, i due sono persino arrivati a non rispondersi al telefono nei giorni in cui c'era da organizzare la manifestazione unitaria contro il governo guidato da Giuseppe Conte. Era il 4 luglio del 2020 e del gelo di allora - e dei due anni a venire - ieri sembrava non esserci più traccia.

È questa l'immagine plastica dei nuovi equilibri all'interno del centrodestra. Dove Meloni ha lentamente scalato la leadership della coalizione trovandosi sempre a giocare da sola contro il tandem Lega-Forza Italia. Dall'elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato, però, i rapporti di forza sembrano essersi ribaltati. Con Meloni e Salvini a giocare di sponda. E Forza Italia a rincorrere.

È stato l'asse con la Lega, infatti, la premessa del blitz di Palazzo Madama. Certo, poi c'è stato l'aiuto dell'opposizione, ma se non fosse stato per i 29 senatori del Carroccio non si sarebbe neanche potuto iniziare. A Montecitorio, peraltro, ancora ieri si ragionava su chi davvero sia stato a dare una mano a La Russa. Con il diretto interessato che ipotizza una manina «dei renziani» e «probabilmente del M5s». Questo, almeno, dice ai suoi chiacchierando alla buvette della Camera. Circostanza senza precedenti, perché - racconta Guido Crosetto - «non era mai accaduto che un presidente del Senato in carica pranzasse al ristorante di Montecitorio o entrasse alla buvette per un caffè».

Meloni, insomma, ha deciso di giocare di sponda, consapevole che sarebbe stato impossibile andare avanti nel dar vita alla squadra di governo dovendo giocare sia contro la Lega che contro Forza Italia. Ha scelto di ricucire con Salvini, anche - dicono i ben informati - grazie ai buoni uffici di Giancarlo Giorgetti, non a caso candidato al ministero dell'Economia. Un nome che non ha lo standing di un Panetta, certo. Ma che può vantare un ottimo rapporto con Mario Draghi, il premier uscente che con Meloni ha sempre avuto un rapporto di stima e reciproca collaborazione istituzionale.

È così che si arriva a ieri. Con la Lega che porta a casa la presidenza della Camera, con tanto di cambio di nome in corsa. Si passa da Riccardo Molinari al più divisivo Lorenzo Fontana. Salvini lo preferisce al primo non solo perché più affidabile, ma anche perché è un veneto (peraltro non particolarmente in sintonia con Luca Zaia). In questo modo, non sarà un problema affidare le poltrone ministeriali alla truppa di lombardi: da Roberto Calderoli al ministero delle Autonomie e affari ragionali al Mef, passando per Agricoltura (o Istruzione). Per Salvini, invece, dovrebbero esserci le Infrastrutture. Con le relative deleghe su capitanerie di porto e guardia costiera. Anche se il leader della Lega avrebbe assicurato alla Meloni di non ripetere la stagione dei porti chiusi del governo Conte 1. Alla fine, insomma, più posti (e più pesanti) per la Lega, a discapito di una Forza Italia con cui il premier in pectore continua a non trovare un canale di dialogo.

Meloni avrebbe ovviamente preferito per la presidenza della Camera un nome meno di rottura. Ma la sponda con Salvini è numericamente determinante. Con Forza Italia, infatti, i rapporti sono ai minimi termini. Non ha compreso le richieste di Silvio Berlusconi sui ministeri («gli ho proposto molto più di quanto lui abbia mai dato ad An, ma non bastava mai») e soprattutto non ha gradito la foto degli appunti dell'ex premier in cui viene definita «supponente e arrogante». Tanto da replicargli a favore di telecamere, mentre a sera lascia Montecitori: «Non sono ricattabile».

Concetto su cui, ore prima con i suoi, si era soffermato anche La Russa alla buvette: «Piuttosto che farsi ricattare, se ne va a casa».

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