S cusate se parliamo di vino. Nel Vinitaly più politico della storia recente, quello che per una domenica si è trasformato nel Transatlantico, poi colato a picco come un Titanic qualsiasi, il vino ha corso perfino il rischio di passare in secondo piano. Più Salvini che Bardolini, più Di Maio che Grillo (il vitigno autoctono siciliano, che avete capito). E invece noi ci siamo intestarditi ad andare in giro per stand alla ricerca di qualche storia, di qualche assaggio, di qualche persona. Ecco il nostro diario di viaggio.
Ci ha mandato in visibilio l'Alberelli di Giodo, il vino prodotto sull'Etna da Carlo Ferrini, uno degli enologi più famosi d'Italia. Uno che avendo doppiato da qualche anno la boa dei sessanta e sentendosi in vena di bilanci, ha deciso che voleva per una volta fare un vino davvero suo. Ha comprato una piccola tenuta a Montalcino (Giodo, dal nome composto di mamma Giovanna e di papà Donatello) dove fa 8mila bottiglie di Brunello e altrettante di un Igt che lascia stupefatti per ricchezza e silhouette. Poi ha comprato sette vigne sparse a spizzichi e bocconi sul versante Nord dell'Etna, ha scoperto che essendo a una quota di 950 metri sul mare non poteva iscriverli a Doc ma non ha rinunciato a produrre il capolavoro di un Sicilia Igt che ti recapita in bocca una mineralità, un'eleganza, un portamento ammaliante. Il nostro migliore assaggio dell'anno, e pazienza se è un vino quasi introvabile.
Altra storia quella altoatesina di Kettmeir, azienda del gruppo Santa Margherita che l'anno prossimo celebrerà un secolo di vita e che ha il vanto di avere sempre creduto nella produzione spumantistica di alta quota, per qualche decennio trascurata. Qui si fanno alcune sinfoniche etichette di metodo classico, tra le quali abbiamo adorato il 1919 nel millesimo 2011, un sessanta per cento Chardonnay (per il 20 per cento affinato in legno per dieci mesi) e quaranta per cento Pinot Nero, sboccato a gennaio e oggi pronto a sedurci con una femminilità quasi conturbante, da mannequin. Siamo usciti innamorati da uno stand affollato e quindi poco adatto ai colpi di fulmine.
Bollicine di tutt'altro genere quelle prodotte nelle Marche da Broccanera (un millesimato 2012 da Verdicchio cento per cento non dosato mieloso e seducente) e nell'Oltrepò Pavese da Tenuta Belvedere (una «prebolla» la definisce il giovane Giancarlo Cabrini, un Pinot Nero e Riesling naïf e conquistatrice, con il plus di un tappo a corona che la rende davvero abbordabile). Entrambi vignaioli «liberi» della Fivi, che ogni anno raggruppa produttori interessanti in una delle aree più stimolanti del Vinitaly.
Ancora: l'Emè 2013 de I Capitani, azienda irpina di cuore e tradizione, che mixa una base Aglianico a un grumo di vitigni storici che ne fanno una sorta di Taurasi più fruttati. E che prezzo! Il grandioso Epokale (di nome e di fatto), un Gewürztraminer Spätlese della cantina Tramin, che riprende un'antica tecnica locale che lascia un pronunciato residuo zuccherino. Il vino, dell'annata 2009, matura per otto mesi in acciaio sui propri lieviti e trasloca poi in una miniera abbandonata sotto la montagna di Monteneve. Un gigante nella casa dei sette nani.
Appunti sparsi: il nuovo vino del Borro della famiglia Ferragamo, il Petruna 2016, un Sangiovese in anfora nitido e slanciato. Il Prima Pietra 2015, bolgherese anomalo di Castiglion del Bosco. Ne avremmo bevuto ancora per cercare di carpirne il segreto.
Il Moscato da invecchiamento di Ca'd'Gal, un vino che strappa una decina di pagine di un trattato di sommellerie: il Vite Vecchia (nelle annate 2016, 2015, perfino la 2010) si degusta non con il panettone ma con il gorgonzola, o con pane e salame, perché «pensa» da Riesling alsaziano. Pure le pulci hanno la tosse. E per fortuna.
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