Solito ritardo nel comunicare il risultato, solito sì un po' meno bulgaro: 60,9% di «sì» all'alleanza con il Pd, cioè 21mila circa su appena 35mila partecipanti, nonostante il voto curiosamente non fosse limitato alla sola Umbria. Rousseau come le primarie Pd: il risultato è sempre scontato. Anche il voto sul «patto civico per l'Umbria», nome con cui i 5 stelle stavolta hanno voluto camuffare le nozze regionali con il Pd (mai citato nel quesito messo ai voti) è passato senza sussulti. Non che nel M5s il clima sia sereno. L'ultimo attacco di Alessandro Di Battista al Pd pre voto è servito magari solo a suscitare un po' di interesse sulla consultazione sempre più contestata. Ma tra i ranghi parlamentari la leadership e i metodi di Di Maio provocano veri malumori. L'escamotage del «patto civico» tra l'altro, stride con una velenosa analisi sulle liste civiche che Beppe Grillo divulgava ai suoi seguaci appena due anni fa: «Sono fatte ad hoc per accaparrarsi il voto sul territorio nascondendo il vero volto dei partiti». Ieri invece Di Maio lanciava il «candidato civico» come soluzione perfetta per risolvere l'imbarazzo dell'alleanza, cresciuto di tono dopo lo scontro con il Pd sul voto che ha evitato gli arresti domiciliari al deputato di Forza Italia Diego Sozzani. «Noi ci presenteremo con il nostro simbolo e con le nostre idee, raccolte in un programma, - ha spiegato il capo politico nell'ultimo appello al voto - e in consiglio regionale controlleremo che la nuova giunta civica - che dovrà essere estranea ai partiti - realizzi ciò che ha promesso ai cittadini, altrimenti tutti a casa».
Di sicuro, a casa non ci vogliono andare tutti quegli esponenti umbri del M5s che si sono sfogati su una chat finita sui giornali locali due giorni fa, in cui si arrivava a minacciare le dimissioni di massa perché Di Maio ha avocato a sé ogni decisione. Difficile per gli esponenti locali digerire l'alleanza con i dem dopo che proprio una denuncia di consiglieri regionali pentastellati ha sollevato l'inchiesta «sanitopoli» che ha fatto crollare la giunta di sinistra. E così un senatore grillino, Stefano Lucidi, nella chat spiegava che «se avessi in mano 33 lettere di dimissioni potenziali di tutti, forse qualche info riuscirei a ottenerla». Qualcuno applaude, ma poi interpellato dalla Nazione dopo che la chat è stata rivelata, smentisce «frasi estrapolate dal contesto»: nessuno si dimetterà. Anche perché settimana prossima ce ne sarà un altro, le cosiddette «regionarie» per i venti candidati da mettere in lista. E pochi paiono disposti a mettersi contro l'asse Di Maio-Casaleggio rischiando il posto. Tra i più audaci la senatrice grillina Tiziana Ciprini: «Di Maio ha scavalcato i territori».
Ancora una volta Rousseau serve ai 5s come strumento di pressione sugli alleati. Da giorni i grillini giocano al rialzo sul nome del «candidato civico» a governatore dell'Umbria. Il Pd puntava sull'ex presidente di Confcooperative Andrea Fora, candidato della società civile, Di Maio rilancia un nome da bruciare: la sindaca di Assisi Stefania Proietti (sostenuta dal Pd). Ma passano pochi minuti dall'annuncio di Rousseau e la sceneggiata si conclude. Zingaretti si dice fiducioso verso una «forte candidatura unitaria».
E spunta il nome, anche se fonti 5s frenano: sarebbe Francesca Di Maolo, 49 anni, cattolica, presidente dell'Istituto serafico di Assisi, struttura di riabilitazione per giovani disabili. Profilo perfetto per i giallorossi: mancherebbe solo il suo sì.
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