
Fatto un Papa, trovato il complotto. Nell'epoca della comunicazione globale e dei social media, nemmeno l'elezione di un Pontefice sfugge alla chiacchiera da bar elevata ad analisi politica. Se poi l'«analista» ha anche un seguito consistente di follower, ecco che quelle che al massimo possono essere rubricate come opinioni, diventano in alcuni casi verità assolute, che per definzione apparterrebbero appunto alla Chiesa.
A rompere gli indugi, su tutti, è Steve Bannon. L'ex capo stratega di Donald Trump e ideologo dell'«America First» non ha dubbi: quella di Robert Prevost è «la scelta peggiore per i cattolici Maga». L'elezione di Leone XIV «è un voto anti-Trump da parte dei globalisti della Curia». Va però dato atto a Bannon di avere previsto, una settimana fa, l'elezione del cardinale Prevost. In una intervista all'anchorman britannico Piers Morgan lo aveva indicato come un «dark horse», un outsider spinto da quei poteri forti che il movimento Maga individua nei cosiddetti «Deep State» e «Deep Church». Una tesi che contrasta nettamente con un altro retroscena che parla di una donazione di Donald Trump al Vaticano di ben 14 milioni di dollari. L'assegno, che avrebbe portato ossigeno nelle casse non più floridissime della Santa Sede, sarebbe stato staccato in occasione della visita del presidente Usa a Roma, per i funerali di Papa Francesco. A insospettire è il presunto scopo della donazione: influenzare il cardinale di New York Timothy Dolan, molto ascoltato all'interno del Conclave, per favorire l'elezione di Prevost. Insomma, un cortocircuito tutto interno al movimento Maga.
Quel che appare più verosimile è che Prevost sarebbe un repubblicano. A rivelare le preferenze elettorali del futuro Papa è stata la Cnn, che è andata a spulciare i registri elettorali. Prevost è registrato come elettore a New Lenox, un sobborgo di Chicago, in Illinois. Secondo i dati citati dall'emittente, Prevost ha votato in 4 elezioni generali e in 3 primarie repubblicane. In particolare, i registri evidenziano che il cardinale è andato alle urne nel 2012, 2014, 2018 e 2024. I documenti mostrano inoltre che Prevost ha partecipato alle primarie repubblicane del 2012, del 2014 e del 2016. In particolare, a marzo 2016, per scegliere il candidato alla presidenza. In quell'occasione, in Illinois si impose Trump con 556.916 voti davanti a Ted Cruz, John Kasich e Marco Rubio. Quest'ultimo, l'unico cattolico. L'elezione presidenziale quell'anno venne vinta da Trump su Hillary Clinton.
C'è poi il capitolo delle presunte «zone grigie» nel passato di Papa Leone. Un trattamento al quale vennero sottoposti, senza alcun riscontro, anche Ratzinger e Bergoglio. È il Washington Post a riferire che lo scorso marzo il «Survivors Network of Those Abused by Priests» (Snap), il più grande gruppo di supporto americano per le vittime di aggressioni sessuali da parte di preti, aveva sporto denuncia in Vaticano contro l'allora cardinale Robert Prevost, accusandolo di aver insabbiato gli abusi sessuali dei suoi sacerdoti, sia nella diocesi di Chicago che in Perù.
Ma a scatenare veramente i complottisti di mezzo mondo potrebbe essere la scoperta fatta da un genealogista di New Orleans, Jari Honora, sulle origini creole, o di colore, di Prevost. I nonni materni del papa, entrambi descritti come neri o mulatti in vari documenti storici, vivevano nel Settimo Distretto della città, un'area tradizionalmente cattolica e un crogiolo di persone con radici africane, caraibiche ed europee. I nonni, Joseph Martinez e Louise Baquié, si trasferirono a Chicago all'inizio del XX secolo e ebbero una figlia: Mildred Martinez, la madre del futuro Papa.
Abbastanza per interpretare in senso letterale la famosa profezia sul «Papa Nero», che secondo alcuni esegeti di Malachia sarebbe destinato ad essere l'«ultimo Papa». In realtà, s'era già detto per il gesuita Bergoglio.
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