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Sì alla 35esima fiducia. Il primato di Draghi (che ora irrita i partiti)

Media superiore a quella del governo Monti. Malumori per l'ok lampo alla manovra

Sì alla 35esima fiducia. Il primato di Draghi (che ora irrita i partiti)

La fiducia numero 35 del governo Draghi, quella che licenzia la legge di bilancio, arriva a tarda sera, con 414 sì. Tra Natale e Capodanno, come è da lungo tempo tradizione italiana. E dopo il consueto «assalto alla diligenza» del budget da parte di forze politiche e singoli parlamentari, sia pur in parte arginato dai paletti fissati dal premier e dal voto di fiducia.

Gli esperti di statistiche parlamentari annunciano che con il voto di ieri il governo Draghi ha battuto il record di un altro illustre esecutivo «tecnico», quello di Mario Monti: una media di 3,2 voti di fiducia al mese contro i 3 montiani. E forse non è un caso che entrambi siano gabinetti sostenuti da amplissime ed eterogenee maggioranze «eccezionali», evidentemente poco capaci di trovare terreni politici condivisi e di non farsi spietata concorrenza interna sulle scelte di spesa. O capaci di coalizzarsi contro il governo a difesa di provvedimenti costosissimi come il Superbonus o per l'ennesima proroga (contro le direttive Ue) delle concessioni balneari.

Nella classifica dei voti di fiducia, realizzata da Openpolis, dopo Draghi e Monti si collocano il governo Conte (2,25 al mese), Gentiloni (2,13), Renzi (2), Letta (1,11), Berlusconi (1,07). Resta il fatto che la legge di bilancio è ormai da molti anni esaminata con tempi strettissimi, e con uno dei due rami del Parlamento (stavolta è toccato alla Camera dei deputati) praticamente senza voce in capitolo. Il governo Draghi non ha invertito la rotta: trattative defatiganti con i partiti per varare il testo, ritardi, corsa contro il tempo per evitare l'esercizio provvisorio.

Un problema ormai strutturale di compressione del ruolo del Parlamento che in molti ieri, nell'aula di Montecitorio, hanno denunciato durante il dibattito finale che ha preceduto il voto. E non solo dall'opposizione, che ovviamente ha attaccato a testa bassa l'esecutivo Draghi: «Ritardo nei tempi di presentazione, compressione del dibattito parlamentare, totale assenza del ministro dell'Economia, l'eccezione della fiducia che diventa regola», elenca il capogruppo di Fratelli d'Italia Lollobrigida.

Ma anche nella maggioranza si sono ascoltati allarmi assai drammatici per quella che la dem Madia ha definito «torsione della democrazia». «Non so fino a che punto siamo disposti a far finta di non accorgerci che le istituzioni della Repubblica non funzionano più, e da un pezzo», ha affermato il presidente della commissione Finanze Luigi Marattin, di Italia viva. «Non so fino a quando faremo finta che in mezza giornata le commissioni possano esaminare provvedimenti da centinaia di norme e decine di miliardi di risorse. Se vogliamo ridare dignità alle istituzioni non possiamo fingere di non vedere».

Per Federico Fornaro di Leu, «non possiamo più eludere la questione che ci troviamo ormai di fronte a un monocameralismo di fatto: da molti anni si è persa memoria di una legge che abbia fatto tre letture: è necessario fare autocritica sul corretto funzionamento delle due Camere». Per il Pd, Pietro Navarra ha espresso «riserve sul metodo adottato nel passaggio parlamentare: la centralità del Parlamento è stata ancora una volta messa in discussione».

Mentre di «fase terminale di una crisi politica e costituzionale» ha parlato il radicale Riccardo Magi di Più Europa: «Occorre una assunzione di responsabilità del Parlamento per intervenire con urgenza con riforme strutturali».

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