Il sacrificio di Mario per la terra

Il fuoco ha una voce. È un borbottio che ti spacca la testa. È più veloce di quello che pensi. Il fumo si fa largo e le fiamme divorano tutto quello che trovano sulla strada: erba, rovi, alberi, vite. Qualcuno le ha accese, come succede ogni volta, da malacarne, per spogliare la montagna e questa è un'estate dove non c'è neppure bisogno di affaticarsi troppo, lo scirocco che soffia dal mare si confonde con la cappa di calore che asfissia corpi e rocce. Mario ha 77 anni e vive qui da sempre. Le fatiche dell'Aspromonte sono scritte sulla sua faccia. Mario Zavaglia, contadino, in pensione per modo di dire. La casa colonica è lassù, al riparo dal mondo, in un posto che a Grotteria chiamano Scaletta, al confine dei boschi. Grotteria è a metà tra lo Ionio e il Tirreno, qui il mare lo senti, lo respiri. C'è un torrente che sfiora il paese, il nome è bizantino: Zarapotamo, il fiume asciutto. Qui pure le pietre hanno smesso di dare ricchezza, un tempo si scavava, miniere d'oro. Ora si sopravvive.

Mario sta curando l'orto. Il sole di mezzogiorno batte a picco. Non dà respiro. Sono sei giorni che qui brucia tutto. No, non è colpa del sole. Le fiamme sanno dove andare e seguono una geometria. C'è una mano esperta e spietata che le ha accese. Il vento fa il resto. Qui ci vuole poco per fare della montagna un rogo. Sono arrivate fino a toccare il paese. Le hanno respinte, ma altre si muovono su e quelle non le ferma nessuno. Mario le sente, le annusa e le vede arrivare. Sembrano lontane e invece è un attimo e se le ritrova al confine del campo. Quanto va veloce il fuoco? Quanto si nutre di estate? Mario potrebbe scappare, correre giù, lasciare quello che ha è salvarsi la pelle. È che lì non c'è solo lui. Ci sono tutti quelli che la terra l'hanno lavorata. Ci sono i suoi morti. Ci sono, vive, le bestie. Allora la prima cosa che pensa è che bisogna salvare gli animali. Lo sente che hanno paura. Lo percepisce il terrore e pure a lui il cuore sta battendo più forte. È che un uomo deve scegliere e lui sa da che parte stare, pure se sono poche bestie o bestie da poco. Via, via, salvatevi e che Dio benedica la terra. Non c'è abbastanza acqua per spegnere il fuoco e dall'alto non arriva nessuno. Non ci sono elicotteri e canadair. Le fiamme lo inseguono. Mario pensa al suo pezzo di terra e trova le parole solo per pregare. Si rifugia nel vecchio casolare. Qui magari non arriveranno. Cerca il fiato, il respiro, fino a quando non sente e non vede più niente. C'è da qualche parte un telefono che squilla. Mario è nel vento. C'è suo figlio che da ore lo sta cercando. È tornato in Calabria alla fine di luglio. Lavora a Milano e scende solo per il padre. Non dovrebbe stare da solo lassù. Ma come ce lo porti via?

Mario Zavaglia si è aggrappato a questo pezzo di Aspromonte, dove se ti affacci guardi il mare. È il senso della sua vita e non importa cosa c'è dopo il fuoco.

Questa è la storia di un'estate così calda che fatichi a ricordarne una uguale. È una storia che sa di antico. È il destino di un uomo che ha cercato di difendere dalle fiamme la terra, la casa e gli animali. È quello che resta di sacro di un mondo che non c'è più.

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