Abbiamo salvato la Pernigotti, non ci saranno esuberi» esultava Di Maio ad agosto, distribuendo cioccolatini per festeggiare la soluzione «in tempi record» (così disse) della crisi dell'azienda dolciaria piemontese. Invece quello della Pernigotti potrebbe essere l'ennesimo fallimento della stagione di Luigi Di Maio (in foto) allo Sviluppo, dove ha lasciato aperte più di 150 crisi aziendali ancora in alto mare a partire dalla Whirlpool di Napoli, a rischio chiusura dopo le promesse dell'allora titolare del Mise.
L'accordo preliminare che doveva salvare la Pernigotti e che doveva chiudersi entro domani, è di fatto saltato. La nuova proprietà turca, il gruppo Sanset Gida controllato dalla famiglia Toksoz (che opera anche nei settori farmaceutico ed energetico ed è il maggior produttore di nocciole al mondo), ha rescisso il contratto preliminare con la Spes di Torino, la cooperativa che secondo la bozza di intesa doveva rilevare la produzione di cioccolato e torroni. Lo stesso destino pare segnato anche per la cessione dell'altro ramo d'azienda, la IP, divisione Pernigotti che produce semilavorati per gelateria e pasticceria e che doveva passare all'imprenditore romagnolo Giordano Emendatori. L'incontro che doveva tenersi al Mise il 15 settembre scorso era stato già annullato e rinviato al 2 ottobre. Uno stop che aveva già fatto capire che la trattativa aveva preso una brutta piega, come confermato dalla marcia indietro della Sanset che rimette così in discussione il posto di lavoro di circa 100 dipendenti, quelli che secondo Di Maio erano salvi grazie all'impegno del Mise. «Avevamo capito che l'accordo tra Emendatori e Pernigotti fosse gravemente compromesso - commenta il presidente di Spes, Antonio Di Donna - ma speravamo che si trovasse una soluzione e che comunque l'accordo tra Pernigotti e Spes, non avendo evidenziato criticità, si potesse chiudere nel rispetto degli impegni sottoscritti. Sono profondamente deluso e dispiaciuto». La questione verrà affrontata al Mise il 2 ottobre, dove ci sarà il successore di Di Maio, Stefano Patuanelli, anche lui M5s. A coadiuvare il neoministro, almeno per ora, c'è lo stesso staff di tecnici dell'epoca Di Maio. In primis il capo di gabinetto Vito Cozzoli (che fu allontanato da Calenda perché troppo vicino al «giglio magico» renziano e subito richiamato da Luigino), quindi l'ex candidato M5s non eletto Giorgio Sorial, più vari compaesani di Pomigliano fatti assumere da Di Maio al ministero dello Sviluppo. Sul flop Pernigotti si fa sentire l'opposizione. «Di Maio è passato agli Esteri, ma i danni che ha lasciato al Mise continueremo a pagarli a lungo» commenta la capogruppo forzista Mariastella Gelmini, anche Fdi sottolinea il fallimento di Di Maio e chiede leggi a tutela dei marchi storici nazionali. La lista di tavoli lasciati senza soluzione al Mise è lunghissima. Ci sono le crisi di Mercatone Uno, Blutec, Alitalia, Almaviva. C'è l'Ilva, altro cavallo di battaglia grillino trasformatosi in disfatta politica.
Poi ancora l'ex Embraco, con i lavoratori che hanno annunciato uno sciopero dimostrativo il 3 ottobre davanti al ministero dello Sviluppo, mentre il 23 è previsto un (ennesimo) tavolo. Dove troveranno Patuanelli, non più Di Maio, che al suo erede ha lasciato solo grane.
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