Poco probabile un «no» al consiglio europeo di dicembre. Paradossalmente un po' più percorribile l'ipotesi di una bocciatura del nuovo Salva Stati da parte del Parlamento. La vicenda del «Mes» (o Esm) il Meccanismo europeo di stabilità si complica sempre di più. I dubbi del M5s (che ha chiesto un vertice sul tema) hanno aperto un braccio di ferro interno a maggioranza e governo sulle prossime tappe. Il premier Giuseppe Conte, che aveva all'inizio escluso una comunicazione ufficiale, parlerà al Parlamento il 10 dicembre, prima del Consiglio europeo che dovrà varare definitivamente il trattato. Fino a martedì l'ipotesi più probabile era un «no» dell'Italia all'ultimo passaggio della riforma, se non un veto su tutto il piano.
Ieri un po' a sorpresa lo steso premier e il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri si sono spesi in prima persona per difendere la riforma. Conte ha attaccato le opposizioni che hanno sollevato il tema, parlando di «delirio collettivo» e di sovranismo da operetta». L'accusa è rivolta alla Lega di Matteo Salvini: «Da marzo a giugno 2019 - pochi mesi fa - abbiamo avuto quattro incontri» con la Lega sul tema. Oggi Salvini «scopre l'esistenza del Mes e grida allo scandalo». Immediata la replica del leader della Lega: «A quei tavoli abbiamo sempre detto di no».
In sintesi, Palazzo Chigi e il ministero dell'Economia non intendono presentarsi dai partner europei e dire che la riforma fino ad oggi concordata non va più bene. E hanno deciso di difendere il nuovo Salva stati che non piace a nessuno.
Gualtieri con una lunga comunicazione ha chiarito il punto di vista ufficiale di via XX settembre. Durante la trattativa l'Italia ha «chiesto e ottenuto che la riforma stessa fosse accompagnata da un pacchetto più generale» sul bilancio dell'area euro e «una roadmap per il completamento dell'Unione bancaria. Su alcuni aspetti della riforma del Mes sono in corso ancora discussioni, ma il processo è avviato a conclusione». Per il ministro l'Italia non ha bisogno di prestiti perché il «debito è sostenibile». Poi la riforma non introduce «in nessun modo la necessità di ristrutturare preventivamente il debito per accedere al sostegno finanziario».
Il principale nodo della riforma ci sono le cosiddette clausole di azione collettiva che consentono ai creditori (cioè a chi detiene i titoli del debito di uno Stato) di richiedere una ristrutturazione del debito. Valgono «per il debito emesso dopo il 2022», spiega il ministro dell'Economia, e «si tratta di un cambiamento noto».
Difesa a spada tratta che nella maggioranza trova una sponda solo in parte del Pd.
Persino due esponenti di peso come il presidente dei senatori Dem Andrea Marcucci e il capogruppo della commissione Politiche europee Gianni Pittella hanno detto no a decisioni frettolose.L'impressione, spiegava una fonte europea, è che il governo non possa dire di no alla riforma. Ma se fosse il Parlamento gli effetti potrebbero essere meno gravi.
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