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Salvini fa retromarcia sul blocco dei licenziamenti. E Draghi assume anche il dossier sul lavoro

Il leader della Lega dà l'ok alla mediazione di Palazzo Chigi ma avverte: "Da giugno libertà di assumere". Il disappunto del Pd. Provenzano: "È l'ennesimo voltafaccia"

Salvini fa retromarcia sul blocco dei licenziamenti. E Draghi assume anche il dossier sul lavoro

Dopo tre giorni di grancassa, si va quietando anche l'ultima polemica tra Enrico Letta e Matteo Salvini. Il picco di una serie di schermaglie - neanche fosse una telenovelas sudamericana degli anni Ottanta - che ormai da settimane vedono il segretario del Pd contrapposto al leader della Lega.

Dopo ius soli, ddl Zan e tassa di successione, il capitolo finale è dedicato al delicato dossier del blocco dei licenziamenti, tema per certi versi «di bandiera» nello schema consueto che vede il centrodestra contrapposto al centrosinistra. Tutto inizia con Letta e Salvini che arrivano perfino a ipotizzare un confronto tra le loro posizioni. Distanti e - evidentemente - inconciliabili. Finisce, come non poteva essere altrimenti, con un buco nell'acqua. E con la palla che - come era ampiamente prevedibile - passa a Palazzo Chigi.

Sarà quindi Mario Draghi a sciogliere il nodo. Come era scontato fin dall'inizio, non fosse altro per il fatto che da quando si è insediato a Palazzo Chigi il premier non ha mai dato l'impressione di essere disposto a chinare il capo davanti ai diktat dei partiti. Sui temi economici in particolare, sui quali si è mosso sempre in completa autonomia con buona pace delle polemiche tra i partiti che sostengono la sua ampia e variegata maggioranza.

Dopo il faccia a faccia di martedì scorso con il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, Salvini ha infatti deciso di mettere la sordina, smarcandosi dal delicato tema del blocco dei licenziamenti. Anche perché a viale dell'Astronomia devono aver fatto notare al leader della Lega una certa delusione del mondo produttivo, che da un giorno all'altro lo ha visto passare da alfiere delle istanze degli imprenditori a sostenitore dello stop ai licenziamenti. Senza considerare, poi, che anche su questo tema incide la corsa alla leadership del centrodestra. Con Giorgia Meloni che, non a caso, ha scelto fin dall'inizio un approccio più prudente sul tema. «Il blocco dei licenziamenti - ha ripetuto più volte - è un problema secondario. Quello principale è che il 40% delle aziende italiane rischia di chiudere e, se chiude, il blocco dei licenziamenti non ci salverà. Il punto è trovare formule per premiare gli imprenditori che in questa fase non chiudono».

Così, non è un caso che ieri mattina l'ex ministro dell'Interno abbia deciso di abbassare i toni e rimettere la palla nel campo del premier. «Ieri - spiega Salvini - ho parlato con il presidente Draghi, con il presidente di Confindustria e, al telefono, con alcuni rappresentanti sindacali». La conclusione è quello che il leader della Lega definisce un «via libera» alla «mediazione proposta da Draghi». Un punto di caduta - aggiunge - che trovo «assolutamente positivo». E, dunque, fino a ottobre tutela per le categorie più a rischio. Ma - precisa Salvini - da giugno bisogna lasciare totale libertà di azione perché le aziende assumano». Una posizione, insomma, piuttosto diversa da quella di qualche giorno fa, quando - per qualche ora - il leader della Lega era perfino sembrato sulla stessa lunghezza d'onda del segreterio dem, Enrico Letta. Ma Salvini sul punto sembra aver cambiato passo, tanto da auspicare una posizione non conflittuale di sindacati e sinistra: «Spero non si mettano di traverso. Ho telefonato a Draghi per dirgli che la sua posizione è la nostra». Non l'ha presa bene, evidentemente, il Pd. Che accusa il leader della Lega dell'ennesimo «voltafaccia». «No, sì, no... Ieri forse, oggi no», scrive su Twitter Giuseppe Provenzano, vicesegretario dem. Che aggiunge: «Sui licenziamenti l'ennesimo voltafaccia di Salvini.

Ricordarsene quando si racconta la Lega come il partito che difende i lavoratori».

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