Politica

Salvini inciampa: "Ma non esco dall'esecutivo". E scoppia il caso di Giorgetti assente al federale

Il segretario: "Le sconfitte? Solo dove non siamo uniti". E rilancia su pensioni, carovita e scala mobile. I leghisti critici: "Cosa aspettano Giancarlo e Zaia?"

Salvini inciampa: "Ma non esco dall'esecutivo". E scoppia il caso di Giorgetti assente al federale

Male, anche peggio del previsto, il referendum su cui Salvini aveva messo impegno, fatica e soprattutto la faccia (e Calderoli pure lo stomaco, con lo sciopero della fame). Male il risultato della Lega superata da Fratelli d'Italia anche al nord. Non solo a Como, Monza, Lodi, poi a Genova e La Spezia, persino il Veneto volta le spalle a Salvini, e la Lega finisce dietro la Meloni a Verona e Padova. A tutto ciò poi si aggiunge il grande pasticcio in salsa russa, con il viaggio a Mosca prima organizzato poi annullato tra l'irritazione di Palazzo Chigi e dei servizi segreti, e in mezzo le relazioni poco chiare tra il consigliere (mai visto nè sentito prima nella Lega) Antonio Capuano e l'ambasciata russa, nel pieno di una guerra. Tutti ingredienti di un pessimo cocktail per la leadership di Matteo Salvini, mai così in difficoltà su tutti i fronti, non ultimo quello interno, con l'ala dei governisti sempre più a disagio. Il segretario assicura che nel federale convocato ieri «non c'è stata mezza polemica, su Russia o vaccini. Solo e soltanto proposte propositive da tutti quelli che sono intervenuti». Quanto all'assenza di Giancarlo Giorgetti, non ha potuto esserci in via Bellerio «per motivi di salute, spero che quando si parla di salute nessuno faccia ricostruzioni bizzarre, anche perché ci vediamo in settimana». I primi a dubitarne però sono i leghisti. «Giancarlo aveva un mal di schiena nei giorni scorsi, sarà questo il motivo di salute per cui diserta un consiglio federale così importante? - si domanda ironicamente un deputato leghista -. Poche storie, la sua assenza è un segnale. É l'excusatio non petita di Salvini una prova della sua sindrome da accerchiamento».

Di certo all'ordine del giorno Salvini non ha messo l'analisi del voto amministrativo, ma ha preferito spostare la discussione su altro: le pensioni («Il ritorno alla Fornero sarebbe la pietra tombale per l'Italia. Una riforma della pensioni equilibrata è uno dei temi sul tavolo, ne parleremo con il governo»), la Bce che fa alzare lo spread, i prezzi di benzina e diesel da calmierare con nuovi sconti, detassazione di straordinari e premi di produzione, la richiesta di un'altra rottamazione delle cartelle esattoriali. «Urgente e doveroso il confronto con il governo. Il problema è arrivare a fine mese» dice il leader. Che ha in mente una nuova battaglia: «L'adeguamento di stipendio e pensioni al costo della vita». Una sorta di nuova scala mobile. Ma questa riedizione della bossiana «Lega di lotta» non significa che sia in dubbio la permanenza al governo. A chi gli riporta l'invito della Meloni ad uscire dall'esecutico, Salvini risponde: «Non confondiamo il mandato per governare Belluno e Palermo con gli enormi problemi che l'Italia deve affrontare». Insomma di staccare la spina a Mario Draghi non se ne parla. Anche se Salvini intende puntellarlo sulla crisi economica.

Un diversivo, osservano in molti, per evitare di parlare del flop elettorale e rilanciare la Lega «di lotta e di governo». Ma è impossibile nascondere l'ennesimo inciampo, l'ultimo di una lunga fila per Salvini, che dall'estate del Papeete non ha più imbroccata una. Per il segretario però se c'è una colpa va cercata nelle divisioni del centrodestra. «Dove il centrodestra non va insieme paga uno scotto. Alle prossime politiche il centrodestra vince solo unito. Chi pensa ad altri schemi non fa il conto con gli elettori» dice, e il pensiero corre inevitabilmente alla Meloni. Lo sforzo della Lega, quindi, sarà di «essere il collante del centrodestra», il leader poi dipenderà dagli elettori, «è ovvio che chi prende un voto in più vince». E l'eterna «resa dei conti» nella Lega, sempre imminente ma sempre rinviata? Nel partito si moltiplicano i mugugni su Salvini, «tutti chiedono cosa aspettano Giorgetti e Zaia», ma i leghisti più smaliziati dubitano che arriverà mai. Nessuno si espone perché il timore è di non avere le spalle coperte dai colonnelli. E così la previsione è che si vada avanti nell'attesa.

«Il problema è che così - sintetizza un leghista lombardo - alle politiche nel 2023 prendiamo un bel calcio nei denti».

Commenti