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Salvini-Letta, prove di "subgoverno" dopo i duelli

I leader di Lega e Pd tentano di dialogare sulle cose da fare, come lavoro e licenziamenti

Salvini-Letta, prove di "subgoverno" dopo i duelli

A lti e bassi nei rapporti politici sono frequenti, con passaggi dal caffè alla cicuta, persino tra alleati della stessa maggioranza. È ciò che accade sull'asse Pd-Lega. Enrico Letta che fa i complimenti a Salvini, dal punto di vista umano e dell'affidabilità nel parlare, è una notizia, anche perché il segretario del partito sin dagli esordi aveva trasformato il leader della Lega in uno dei bersagli politici più graditi.

Ma ecco il nuovo Letta. «Ho trovato un volto vero», «con lui ho rapporti franchi», «rappresentiamo Italie diverse ma tutti e due sappiamo di avere una grande responsabilità» le parole che hanno tentato di disinnescare cortocircuiti con effetti anche sul governo. I due si sono parlati un mese e mezzo fa sulle riforme istituzionali e da lì è partita la convinzione di Letta che esista un «vero» Salvini con cui il dialogo, pur da posizioni distanti, è più che possibile.

Salvini ha accolto con favore il fair play di Letta, ma non ha rinunciato alle sue espressioni colorite. «Se la finiamo con ius soli e felpe pro sbarchi, potremo dedicarci, anziché al litigio, al grande problema di questo momento: il lavoro» ha detto al Corriere. Poi il desiderio di confrontarsi con Letta sulla «possibilità di prorogare il blocco dei licenziamenti». Letta, pur accusando Salvini di «aver compiuto tre voltafaccia» e di averlo lasciato solo, non gli ha chiuso la porta in faccia. «Giorgetti e Salvini non possono giocare al poliziotto buono e al poliziotto cattivo. Serve una voce unitaria della Lega» dicono dal Nazareno.

Il segretario leghista è inseguito nei sondaggi dalla presidente di Fdi, Giorgia Meloni, e nonostante la tattica non sembri vincente, cerca di marcare l'identità più dura e pura per mantenerla a distanza. Anche il Pd di Letta non gode di sondaggi favorevoli, non scende ma non sale, ed è in cerca di nuovi equilibri non a tutti graditi.

Stefano Ceccanti, costituzionalista del Pd, ha una diagnosi che potrebbe essere una cura: «La fisiologia dei governi di unità nazionale prevede negli altri Paesi che i segretari siano al governo. Se così non è, un certo grado di conflittualità è inevitabile. Se poi Draghi è più vicino al Pd che al centrodestra, si capisce di più che lo critichi Salvini che non Letta». Il dem Franco Mirabelli aggiunge: «I rapporti franchi sono indispensabili ma siamo avversari politici e tali rimarremo». Questo non esclude intese su singoli punti.

Il superamento a sinistra del premier sul blocco dei licenziamenti è avvenuto su una questione più cara all'elettorato provato dalla crisi che ai teorici della sinistra riformista o della Lega quale punto di riferimento di un certo ceto imprenditoriale. Letta, deciso a marcare l'identità sui temi più classici del Pd anche se abbandonati da anni, vedrà venerdì i sindacati. La scadenza del blocco è fissata al 30 giugno. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando, dem, aveva proposto una proroga al 28 agosto, bocciata in cdm anche da Giorgetti. «Draghi ha mediato tra le proposte del Pd e quelle del centrodestra - il ragionamento del Nazareno -. Se la Lega si fosse schierata per la tutela dei lavoratori da subito l'esito sarebbe stato diverso».

Salvini ha riflettuto sulle conseguenze negative che la vicenda potrebbe avere sull'elettorato popolare della Lega. Così ha promesso di chiedere una «tregua sui licenziamenti» al presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che vedrà oggi, con «aiuti agli imprenditori a non licenziare», aggiungendo che sarebbe meglio far pagare le tasse a giganti del web e multinazionali. Bonomi, si sa, è contrario. In Cdm si è detta contraria la Lega. Ma anche i 5S hanno riaperto la discussione, definendo «ragionevole, in questa fase delicata, avviare una discussione sulla proroga del blocco dei licenziamenti».

L'incontro scontro del subgoverno Letta-Salvini sembra aver riaperto la partita.

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