Il day after dello strappo Matteo Salvini lo passa in prima linea. Un montagna russa continua, tra interviste tv, dirette Facebook, appuntamenti politici e una raffica di comunicati. Con l'evidente obiettivo di marcare il territorio. L'intento è quello di tamponare la fuga di consensi che sta perseguitando la Lega da quando ha deciso di sostenere il governo guidato da Mario Draghi. Elettori e categorie produttive che avevano puntato sul Salvini aperturista «senza se e senza ma», un pezzo di quel mondo no vax e no mask a cui il leader del Carroccio aveva strizzato l'occhio nelle prime settimane della pandemia. Ma sopratutto i lavoratori autonomi, in particolare quelli più colpiti da un anno passato tra lockdown e restrizioni. Voti che in questi mesi si sono andati spostando su Fratelli d'Italia, unico partito rimasto all'opposizione. Su una linea di coerenza che, almeno stando ai sondaggi, sta pagando. Secondo una rilevazione Swg di martedì scorso, per dire, la Lega sarebbe scesa al 21,2% (contro il 34,3 delle Europee 2019) mentre il partito guidato da Giorgia Meloni avrebbe toccato il 18% (contro il 6,4 di due anni fa).
Ed è in questa corsa alla leadership del centrodestra che, probabilmente, sta la ragione dello strappo che si è consumato mercoledì in Consiglio dei ministri. Politicamente enorme, tanto che Draghi non solo non ha gradito, ma ha pure iniziato ad avanzare dubbi sull'affidabilità di Salvini («qualcuno non ha ben chiaro qual è la posta in gioco», avrebbe detto in privato). Una rottura che in un modo o nell'altro avrà strascichi, perché per quanto il premier sia persona pragmatica è evidente che il rapporto tra i due si è incrinato. Il tutto per sessanta minuti di coprifuoco, che - almeno per ora - rimarrà alle 22 e non sarà posticipato alle 23. Il tutto, soprattutto, in occasione del primo decreto che va proprio nella direzione chiesta da Salvini, con un generale allentamento delle misure restrittive. Davvero un'oretta in più o in meno è valsa il rischio di creare un vulnus così grande? Sul serio il leader della Lega non era soddisfatto di quella che fino a pochi giorni fa tutti definivano - giustamente - una sua vittoria? Insomma, è legittima la percezione di chi pensa che la reazione sia stata sproporzionata alla situazione.
L'ex ministro dell'Interno, però, non ha affatto ammorbidito i toni. Sì, ha ripetuto più volte che «la Lega resta al governo» e che ha «stima in Draghi». Ma al di là delle parole, nei fatti ha continuato a bombardare Palazzo Chigi. Ha riunito la segreteria politica del Carroccio chiedendo a tutti di confermare la sua linea barricadera. E ha pure chiamato il neo presidente della Conferenza delle Regioni, il governatore leghista Massimiliano Fedriga, per chiedergli di spingere sull'acceleratore. E il presidente del Friuli Venezia Giulia ha trovato terreno fertile tra i suoi colleghi, quasi tutti - per ragioni di consenso e di costi - favorevoli a tenere più chiuse le scuole (che necessitano di un rinforzamento del trasporto pubblico) e più aperti i ristoranti (che portano voti).
Un Salvini, dunque, che si muove in una strada stretta, con il rischio che poi - magari a freddo - arrivi l'incidente. Non solo nel Pd, in verità, pensano che l'ex vicepremier non arriverà fino in fondo. Un altro Papeete, infatti, lo escluderebbe automaticamente dalla decisiva partita per la successione a Sergio Mattarella che si giocherà a inizio 2022.
Proprio per questo, però, non solo nel Pd c'è chi sta lavorando ad una «maggioranza Ursula» per l'elezione del prossimo capo dello Stato. Un modo per provare a sterilizzare Salvini nel passaggio politicamente più importante dei prossimi anni.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.