Santanchè, stop al processo Visibilia-Inps

Alla Consulta il conflitto di attribuzione sollevato dal Senato. Caso politico chiuso

Santanchè, stop al processo Visibilia-Inps
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Tutto fermo, fino a data da destinarsi. Il più grave dei processi in corso a carico di Daniela Santanchè si blocca di colpo ieri, quando il giudice preliminare milanese Tiziana Gueli accoglie la richiesta di sospensione avanzata dai difensori del ministro del Turismo. Si tratta dell'udienza, in corso da tempo, in cui il giudice deve vagliare la richiesta di rinvio a giudizio della Santanchè e di altri imputati per truffa allo Stato, per avere incassato all'epoca del Covid i sostegni della cassa integrazione per alcuni giornalisti delle testate del gruppo Visibilia. Ma tra gli elementi che la Procura ha portato per dimostrare la colpevolezza del ministro ci sono anche registrazioni ambientali e chat che sono state realizzate e depositate senza chiedere l'autorizzazione al Parlamento. Per questo il 24 settembre scorso il Senato ha votato a maggioranza l'apertura di un conflitto di attribuzioni contro la Procura di Milano, davanti alla Corte Costituzionale. Nell'attesa della decisione della Consulta, i pm ieri chiedono che l'udienza vada avanti per la sua strada. Ma il giudice Gueli è di altro avviso: udienza sospesa, ci si rivede il 20 febbraio solo per verificare a che punto è l'iter del conflitto. Se, come tutto fa prevedere, la pratica alla Corte Costituzionale sarà ancora in alto mare, ci si rivedrà probabilmente dopo l'estate del 2026.

Per la ministra è un grosso sospiro di sollievo: perché alla vicenda della presunta truffa all'Inps è legata più direttamente la sua permanenza al governo, e lei stessa ha fatto capire che in caso di rinvio a giudizio potrebbe fare un passo indietro. Ora il lungo stop allontana questa prospettiva, e apre la possibilità che - se la Corte Costituzionale dovesse accogliere il ricorso del Senato - la quantità di prove a disposizione della Procura per sostenere l'accusa nei suoi confronti si riduca drasticamente.

A spingere il Senato a sollevare il conflitto contro la Procura di Milano, su istanza della stessa Santanchè, è stato un precedente illustre: la sentenza della Corte Costituzionale che nel 2023 aveva dato ragione a Matteo Renzi, che aveva chiesto di dichiarare inutilizzabili conversazioni e accertamenti compiuti a suo carico dalla Procura di Firenze senza autorizzazione parlamentare. Nel caso della Santanchè, sono finite nel suo fascicolo giudiziario delle conversazioni registrate a sua insaputa da un giornalista e delle chat e mail consegnate da un'altra giornalista.

Nella mozione che solleva il conflitto, il Senato ha affermato che è tutto materiale coperto dall'immunità: "Come a nessuno verrebbe mai in mente di pensare che la polizia giudiziaria possa registrare nascostamente le conversazioni di un parlamentare e poi impiegare quelle conversazioni in sede penale senza autorizzazione della Camera di appartenenza, a maggior ragione non possono certo essere acquisite senza autorizzazione le stesse registrazioni se effettuate in segreto da un privato", Nel caso della Santanchè, inoltre, "l'acquisizione del materiale probatorio, avvenuta contra legem, è anche aggravata dall'avvenuta loro effettiva utilizzazione nell'ambito del procedimento penale, in quanto gli elementi di prova sono confluiti negli atti del fascicolo e sono rientrati tra gli elementi posti a conoscenza del Giudice per l'udienza preliminare".

La parola passa alla Corte Costituzionale. Nel frattempo, la prescrizione del reato si ferma.

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