Sarà la Toscana, non i giudici a decidere le sorti di Salvini

L'accerchiamento è tutto politico: Meloni nel centrodestra, Zaia nel Carroccio e l'incubo del "Sì" risicato al referendum

Sarà la Toscana, non i giudici a decidere le sorti di Salvini

L'accerchiamento è ormai su tutti i fronti. E se il versante giudiziario difficilmente porterà contraccolpi sul consenso nel breve periodo, quel che davvero preoccupa Matteo Salvini è il saldarsi di due diverse «offensive». Tutte politiche. La prima è quella per così dire «esterna», con Giorgia Meloni che nel centrodestra potrebbe uscire come la vincitrice di fatto dalle elezioni regionali, visto che i candidati di FdI in Puglia (Raffaele Fitto) e Marche (Francesco Acquaroli) sembrano in grado di potersi imporre. La seconda «offensiva» è quella «interna», divisa su due diversi fronti che rendono la partita del segretario della Lega piuttosto impegnativa: il Veneto e il «sì» al referendum, mal digerito da tutti i parlamentari del Carroccio e da un pezzo cospicuo della sua base (a cui ha dato voce Giancarlo Giorgetti).

Delle elezioni che incoroneranno per la terza volta Luca Zaia governatore del Veneto si è già detto molto. Il risultato si annuncia bulgaro, con la lista del presidente che rischia seriamente di ottenere più consensi di quella del Carroccio. Non solo la consacrazione di Zaia come leader alternativo a un Salvini che nell'ultimo anno di mosse ne ha sbagliate molte, ma anche il successo di una Lega che in Veneto non si è mai fatta trascinare dai toni incendiari del suo segretario, rimanendo invece fedele alle battaglie delle origini e concentrata sull'amministrazione del territorio. Un trionfo di Zaia e un successo della sua lista su quella del Carroccio, andrebbero dunque letti anche come una sconfessione dell'approccio salviniano. Soprattutto dopo che l'ex ministro dell'Interno, preoccupato da un simile scenario, si è molto raccomandato con i suoi colonnelli veneti affinché sostenessero il simbolo dell'Alberto da Giussano e non la lista del presidente.

Il rischio, però, è che il successo di Zaia - considerato l'unico vero competitor interno di Salvini - si saldi a un risultato referendario non così netto come ci si attendeva fino a qualche mese fa. In questo senso, il leader della Lega è nella stessa paradossale condizione di Nicola Zingaretti. Se i «sì» alla riforma sul taglio dei parlamentari dovessero prevalere non di molto - anche 60 a 40 - in molti potrebbero obiettare a Salvini che il suo disimpegno è stato decisivo. Sul punto, infatti, l'imbarazzo è evidente, tanto che il leader della Lega parla di referendum il minimo indispensabile. «Voterò sì per coerenza, ma il Carroccio non è un caserma», è la sua risposta d'ordinanza per salvare la forma e rimanere comunque «agganciato» al «no» di Giorgetti. Una scelta ragionata, perché Salvini sa bene quanto il tema sia scivoloso. Se i «sì» vincessero di poco, l'ex ministro dell'Interno potrebbe aver perso il treno giusto per assestare un colpo durissimo al governo che difficilmente reggerebbe a una vittoria dei «no». E i tanti che in Lega avrebbero voluto schierarsi contro la riforma voluta da Luigi Di Maio - molti dei parlamentari, peraltro, perché ben consapevoli che il taglio rischia di escluderli dal prossimo Parlamento - potrebbero rinfacciargli di aver ancora una volta fatto la scelta sbagliata (dopo le due «spallate» fallite con la crisi agostana del Papeete e le regionali in Emilia Romagna). Magari non pubblicamente, perché a differenza di quanto dice Salvini la Lega è esattamente una caserma in cui il dissenso non è consentito (chiedere a Umberto Bossi che fu escluso dalle chat del gruppo parlamentare). Ma sarebbe comunque un duro colpo.

Questi, più che le inchieste, sono i veri crucci di Salvini. D'altra parte, non solo l'elettorato di centrodestra ma gli italiani in generale sono ormai assuefatti agli intrecci tra magistratura e politica. E se non ha fatto breccia la vicenda dei 49 milioni, difficilmente l'ultima inchiesta della procura di Milano cambierà qualcosa nel breve periodo. La partita di Salvini, dunque, è tutta politica.

E l'unico modo che ha per non uscirne sconfitto è riuscire a portare a casa la vittoria della leghista Susanna Ceccardi nella «rossa» Toscana. Se riuscisse nell'impresa, allora sì metterebbe a tacere qualunque dissenso. Quelli all'interno del centrodestra sulla sua leadership nella coalizione e quelli all'interno della Lega sulla sua leadership nel partito.

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