Economia e finanza

Scandali e perdite: così crolla il mito degli gnomi svizzeri

Cinque degli ultimi otto bilanci in rosso, la girandola di manager e 10 miliardi sacrificati in un paio di crac

Scandali e perdite: così crolla il mito degli gnomi svizzeri

C'erano una volta gli gnomi svizzeri. C'erano, perché nella Confederazione i banchieri non sono più quelli di un tempo. Il caso estremo è quello della Raiffeisen (terzo gruppo del Paese dopo Credit Suisse e Ubs): l'anno scorso Pierin Vincenz, per 16 anni numero uno dell'istituto, è stato condannato a 3 anni e 9 mesi di carcere per una sfilza di reati tra cui frode e falsificazione di documenti. Tra le tante colpe che gli sono state addebitate c'è quella di aver speso oltre 500mila franchi della banca in strip club e viaggi privati. Al Credit Suisse nella bufera mancano (per ora) le spogliarelliste, ma scandali e polemiche no di sicuro.

Negli ultimi otto anni l'istituto ha chiuso in rosso il bilancio per cinque volte. Le ultime perdite, quelle relative al 2022, sono state annunciate ai primi di febbraio: 8 miliardi di dollari. E dagli Stati Uniti alla Francia fino alla lontana Bulgaria sono molti i Paesi in cui, anziché nelle cronache finanziarie. il nome della banca è finito diritto nelle cronache giudiziarie.

Il fatto è che l'icona del sistema creditizio confederale (sono 167 gli anni di storia) ha prosperato a lungo, come tutte le sue concorrenti locali, su un bene prezioso e apprezzatissimo in tutto il mondo: il segreto bancario. Era questo il grande vantaggio competitivo della piazza finanziaria elvetica, il silenzio. Poi le cose sono cambiate. Le pressioni diplomatiche internazionali (a cominciare da quelle statunitensi) hanno reso insostenibile la posizione di tradizionale arrocco della Confederazione. Un po' alla volta il Consiglio federale ha dovuto dare il via a una serie di accordi sulla doppia imposizione. Gli svizzeri si sono impegnati a comunicare i nomi dei loro clienti; la tradizionale riservatezza, con i relativi vantaggi fiscali, è un po' alla volta evaporata.

I grigi e prudenti gestori di patrimoni hanno dovuto trovare altre strade. C'è chi ha fatto più fatica. In un primo tempo (per capirsi, più o meno fino alla crisi finanziaria del 2008) il Credit Suisse sembrava essere riuscito a cambiare pelle. Meglio della rivale Ubs che oggi naviga tranquilla ma che nel 2008 fu sostenuta dal governo e dalla banca nazionale svizzera con un'iniezione da 66 miliardi di franchi. Poi anche nel Credit Suisse qualcosa si è inceppato: traslocare dalla tranquilla Banhofstrasse zurighese alla competitività esasperata di Wall Street si è rivelato più difficile del previsto: trading, investment banking, la creazione di nuovi strumenti finanziari anziché contribuire alla redditività si sono trasformati in buchi di bilancio. Sono bastati un paio di fallimenti di gruppi che il Cs aveva riccamente finanziato (Archegos e Greensill tra gli altri) per aprire in un paio d'anni una voragine da 10 miliardi.

A complicare le cose sono state le difficoltà a trovare un timoniere in grado di guidare con polso fermo la banca. Nel 2015 l'istituto fece una scelta rivoluzionaria e scelse come chief executive officer un banchiere di colore, il primo a conquistare un ruolo così importante in Svizzera, l'ivoriano Tidjane Thiam. In cinque anni di leadership il manager venuto da lontano ha fatto di tutto per rimettere in carreggiata la portaerei della finanza svizzera. Ma la fine del suo regno è stata traumatica: Thiam ha dovuto dimettersi dopo la scoperta che il suo numero due, uomo da lui personalmente scelto, aveva fatto controllare e intercettare altri manager del gruppo. Ma il matrimonio, secondo gli analisti, non era comunque stato felice. In un paio di assemblee i piccoli azionisti gli avevano rimproverato di non essere svizzero e di parlare di problemi e prospettive del «terzo mondo». Secondo molti era rimasto un corpo estraneo alle tradizionali cordate di potere svizzero-tedesche.

Lo stesso si può dire di Antonio Horta-Osorio, anglo-portoghese arrivato nell'aprile del 2021, primo presidente non elvetico.

È durato meno di un anno e nel gennaio 2022 ha dovuto andarsene: si è scoperto che aveva trovato il modo durante il lockdown di andare in giro per l'Europa come se niente fosse.

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