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"Scelse i comunisti. Lo vedo nell'Aldilà che litiga con Bettino"

Lo storico numero due del Partito socialista: "Preferiva il Pci, più debole per il fattore k"

"Scelse i comunisti. Lo vedo nell'Aldilà che litiga con Bettino"

Claudio Martelli, con De Mita sparisce un protagonista assoluto della Prima Repubblica, ma anche un vostro grande avversario. Cosa ha provato?

«Un po' di malinconia: polvere eravamo e polvere ritorneremo...È il tramonto di un vecchio leone, un grande democristiano. Un protagonista che ha avuto una sfortuna: quella di dividere la ribalta con un astro più brillante, seppur con un destino più breve e tragico, come Bettino Craxi. Finendone molto spesso oscurato. Immagino che anche nell'aldilà continueranno a competere».

La competizione politica fu serrata e durissima, per anni. Perché?

«Perché il Psi di Craxi fu il primo partito a sfidare apertamente un primato che la Dc considerava proprio per diritto divino. Non era la astratta idea di alternativa perseguita dalla sinistra socialista, ma la concreta competizione per l'alternanza e per la guida del governo».

E però, proprio con De Mita segretario della Dc, Craxi diventò presidente del Consiglio.

«Nel 1983 la Dc subì un tracollo elettorale da due milioni di voti. De Mita, che la aveva portata al voto con uno strano programma ibrido a metà tra il rigorismo thatcheriano in salsa avellinese e le aperture al Pci, era debolissimo. E, proprio per evitare di essere fregato all'interno dalle manovre dei vari Forlani, Piccoli e Donat Cattin, fu lui - con abile trasformismo - ad aprire la strada di Palazzo Chigi al Psi».

Salvo poi accusarvi di aver tradito il famoso «patto della staffetta» di metà legislatura.

«La staffetta è una di quelle fortunate leggende che poi diventano luogo comune. Non c'era nessun patto in carta da bollo, al massimo l'idea di ridiscuterne a un certo punto del cammino. Poi De Mita piantò la bagarre, Craxi gli rispose ma che staffetta d'Egitto e il segretario Dc aprì una surreale crisi di governo che finì con l'esecutivo elettorale di Fanfani su cui i democristiani di astennero».

Governava con voi ma flirtava col Pci.

«Sì, c'era una sorta di attrazione fatale della sinistra Dc per i comunisti. Ma anche un calcolo cinico: meglio dialogare con un Pci handicappato dal fattore K e dall'ipoteca moscovita, che quindi doveva moderare le pretese, che dover fare i conti con un Psi che aveva le carte perfettamente in regola in Europa e in Occidente».

Tra voi volarono parole grosse.

«Ricordo un suo comizio a Mantova, mio collegio elettorale, in cui fu molto sprezzante: Se questi del Psi stanno buoni gli forniremo qualche bancarella per il loro commercio ambulante politico. Gli risposi che prima di discutere con noi di politica avrebbe dovuto smettere di maltrattare l'italiano. Furono i suoi uomini, come Biagio Agnes alla Rai, ad aizzare le campagne denigratorie contro Craxi, usando ad esempio Beppe Grillo».

Poi arrivò Tangentopoli, Psi e Dc vennero travolti ma la sinistra demitiana fu risparmiata.

«Perché era contigua al Pci. E come disse Gerardo D'Ambrosio (membro del pool Mani Pulite, poi parlamentare Ds, ndr) non potevamo mica arrestare tutti, qualcuno doveva rimanere. Restarono loro».

Poi avete fatto la pace?

«Ci incrociammo da colleghi al Parlamento europeo, avevamo ormai deposto le armi da tempo, chiacchierammo spesso. Comunque gli riconosco uno stile anche politico che ormai si è perso.

E negli anni 80 fu il primo a riconoscere che il Psi era l'unica vera novità politica».

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