La scelta più dura: Israele ha fiducia nella linea Usa

Decisive le garanzie di bin Salman sulla Fase due

La scelta più dura: Israele ha fiducia nella linea Usa
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Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu affronta una delle più funamboliche risoluzioni della sua storia, quella che riguarda la forza internazionale di stabilizzazione Isf che dovrà essere dispiegata dentro Gaza: dovrà controllare i confini, distruggere le infrastrutture militari di Hamas, demilitarizzare la Striscia. È già nell'accordo che se Hamas finisce di consegnare i resti dei rapiti dovrebbe portare alla fase due. Prima tutti gli ostaggi vivi o morti, missione quasi compiuta, ma se Hamas non disarma, nessuno realizzerà il piano.

Egitto e Israele, se parte, dovrebbero essere i due interlocutori principe, mentre molti altri membri faranno parte del progetto. Israele si ritirerà via via che varie forze si dispiegheranno e gli Usa resteranno per un periodo più esteso come garante. Facile? La difficoltà del piano è riassunta in una riga che disegna "un sentiero verso lo stato palestinese". Lo vuole anche l'ospite atteso oggi a Washington, il principe Mohammed bin Salman, per la prima visita dopo l'assassinio di Amal Kashoggi che è costato un muro di ghiaccio col presidente Biden. I sauditi sono la pietra miliare, la maggiore ambizione del grande disegno geopolitico di Donald Trump per il Medioriente, l'asse di equilibrio fra Israele, Qatar e Turchia. La possibilità di un nesso saudita con Israele, garantisce a Bin Salman protezione americana e israeliana dalla prepotenza sciita e da quella parte della sunna legata alla Fratellanza Musulmana, all'Islam conquistatore guidato da Turchia e Qatar. Adesso Trump si prepara a ricucire la frattura coi sauditi, sa che l'Iran in questa prospettiva ha rimesso in moto tutto quello che poteva: si sono svegliati dal torpore gli Hezbollah sconfitti da Israele e i proxy consueti, arrivano armi in Giudea e Samaria, in Irak e in Yemen, l'Iran raschia il barile, e sono molti soldi e armi. Hamas, ridotta al lumicino, pure prepara depositi d'armi nell'Africa orientale pronto a tirarle fuori al momento giusto.

Trump sa che deve pagare un prezzo, anzi due, a Bin Salman: il primo è la vendita di F35, il secondo l'assicurazione che si torni a parlare di uno stato palestinese. Sullo sfondo, offre la garanzia non solo delle sue armi, ma di un Israele forte delle vittorie ottenute in questa lunga guerra. E quando Netanyahu ha risposto all'opposizione che lo accusa, da destra e da sinistra, di accettare uno stato palestinese per compiacere agli americani, ha detto: "La nostra opposizione a uno stato palestinese non è cambiata affatto". E ha ripetuto anche che Israele è pronta a intervenire se Hamas non accetta il piano Trump. Intanto Hamas ha detto che non consegnerà le armi se non all'Anp. Uno scherzo, cioè. Il documento votato dice che "mentre avanzerà il piano per Gaza e un programma di riforme dell'Anp verrà portato avanti, finalmente potrebbero esserci le condizioni per un sentiero credibile per l'autodeterminazione e lo Stato palestinese". Sembra una prospettiva quasi fantascientifica, che comunque segue la strategia dei patti di Abramo. Su di essa, se la solidarietà con gli Usa mantiene la sua primogenitura, Israele prepara un destino di sicurezza.

L'importante è tenere fuori Erdogan e il Qatar mentre entra l'Arabia Saudita. Quanto agli F35 a bin Salman, è vero che sono pericolosi nelle mani di un forte potentato islamico. Comunque ora l'importante è restare forti e alleati con gli Usa.

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