L a Cina viola la legge internazionale, non ha alcun diritto storico sulle isole del Mar cinese meridionale e non può interferire con le legittime attività che le Filippine svolgono nella loro Zona economica esclusiva. La sentenza della Corte permanente arbitrale dell'Aja, emessa ieri, è uno schiaffo in faccia all'arroganza di Pechino dalle conseguenze imprevedibili e rappresenta un punto fermo in una delle dispute geopolitiche più importanti del mondo.
Da decenni i paesi del Sudest asiatico si accapigliano per controllare un pugno di scogli, isolotti, banchi sabbiosi e secche nel Mar cinese meridionale. Fin dal 1947, ancora prima della nascita della Repubblica popolare di Mao Zedong, il Dragone tramite la cosiddetta «linea dei nove punti» rivendica la sovranità sul 90 per cento dell'area. L'interesse non è meramente paesaggistico, ma economico e strategico: dalle acque contese passano ogni anno cinquemila miliardi di merci, circa il 50 per cento del commercio mondiale, e chi le controlla può in ogni momento bloccare il passaggio delle navi e scatenare una crisi internazionale. Risorsa ricchissima per la pesca, secondo diverse stime sotto il Mar cinese meridionale giacciono dai 4mila ai 25mila miliardi di metri cubi di gas naturale e circa 30 miliardi di tonnellate di petrolio. Non c'è da stupirsi perciò se Vietnam, Brunei, Taiwan, Filippine, Malaysia, e appunto Cina, si contendono le isole Paracels, le isole Spratlys e lo Scarborough Shoal.
La Cina ha firmato la Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos), entrata in vigore nel 1994, ma non l'ha mai rispettata occupando abusivamente territori contesi, allargando scogli con colate di sabbia e cemento, costruendovi sopra porti e basi militari. Su un piccolo isolotto (Woody Island) il governo comunista ha appena fatto posizionare un sistema missilistico terra-aria in grado di colpire un aereo nel raggio di 200 chilometri. Stufi di questo atteggiamento, nel 2013 le Filippine hanno portato il caso davanti all'Aja e ieri hanno vinto.
Che cosa succederà ora? Il giudizio è legalmente vincolante ma la Corte non ha i mezzi per farlo rispettare. La Cina ha ribadito ieri a caldo che considera la sentenza «carta straccia», mentre nei giorni scorsi aveva alzato il tiro della retorica dicendosi pronta a «imbracciare le armi». Come scriveva pochi giorni fa il quotidiano dell'Esercito di liberazione del popolo: «Il sentimento che alberga nei cuori dei nostri veterani è: Se la guerra chiama, dobbiamo rispondere». Pechino ha accusato anche Stati Uniti e Giappone di aver manipolato le Filippine come una marionetta «per provocare».
È probabile che Manila e Pechino tornino al tavolo delle trattative bilaterali per negoziare una soluzione condivisa, ma la sentenza potrebbe anche infondere coraggio a quei paesi del Sudest asiatico che si sentono vittime dell'assertività cinese, rafforzando le loro legittime richieste.
Se il partito comunista si ritrovasse accerchiato e con le spalle al muro, potrebbe perdere la pazienza e fare ricorso alla forza. E se gli Stati Uniti hanno portato nel Mar cinese meridionale bombardieri, portaerei e cacciatorpediniere vuol dire che l'ipotesi non è così remota.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.