Cronaca internazionale

Lo schiaffo di Minsk: 10 anni al Nobel Bialiatski

Condannato l'attivista per i diritti. La protesta dell'Europa: "Insulto alla giustizia"

Lo schiaffo di Minsk: 10 anni al Nobel Bialiatski

C' è qualcosa di perfettamente logico nella condanna a dieci anni di carcere inflitta a un premio Nobel della Pace in Bielorussia subito dopo la visita a Pechino del dittatore di Minsk. In Cina, Aleksandr Lukashenko non soltanto ha trovato conferma della drammatica efficacia dei metodi di un regime che da oltre settant'anni soffoca con la violenza di Stato qualsiasi anelito alle libertà «borghesi»: laggiù Liu Xiaobo, che nel 2010 era stato premiato allo stesso modo di Ales Bialiatski per la sua difesa non violenta dei diritti umani in patria, è morto da un pezzo in galera come «nemico del popolo» nella sostanziale indifferenza dell'Occidente. Ma soprattutto, Lukashenko ha avuto modo di trovare esplicito sostegno da parte di Xi Jinping e del suo governo neo-maoista: un sostegno che va ben oltre i rapporti bilaterali tra due dittature liberticide di ispirazione comunista, perché la sua natura è ormai chiaramente inscritta all'interno di un «asse mondiale del male», che allinea la Cina di Xi alla Russia del Putin invasore dell'Ucraina, l'Iran del medioevo islamico che fa uccidere le donne ribelli alla Siria del criminale vassallo di Mosca Bashar el-Assad, la Bielorussia di Lukashenko e la Corea del Nord di Kim Jong-un accomunate da regimi post-stalinisti e da posture guerrafondaie, e in America Latina i brutali regimi di Cuba, Venezuela e Nicaragua.

La condanna inflitta ieri a Bialiatski fondatore del centro per i diritti umani Viasna, punto di riferimento per i manifestanti bielorussi per la democrazia e per questo premiato «in absentia» lo scorso anno è stata grottescamente motivata dal tribunale di Minsk con «contrabbando e finanziamento di attività che violano gravemente l'ordine pubblico»: viene alla mente Aleksei Navalny, gettato in un carcere duro in Russia anche per «furto di legname», tanto per far capire che gli oppositori politici di certi regimi devono per forza essere screditati anche come criminali comuni. È però manifesto che le ragioni sono appunto politiche, nel contesto di una sfida aperta all'Occidente che viene condotta a livello globale dal già citato asse a guida russo-cinese. Non è un caso se l'altra celebre premio Nobel bielorussa, la scrittrice Svetlana Aleksievic autrice di «Preghiera per Cernobyl», ha da tempo dovuto rifugiarsi in Germania dopo aver ricevuto pesanti minacce in seguito al ruolo svolto nella resistenza democratica del suo Paese: lo stesso destino del coraggioso direttore del giornale indipendente russo Novaya Gazeta, Dmitry Muratov, che dopo essersi sentito minacciare da Putin in persona con la frase «Nessuno creda che un Premio Nobel faccia da scudo in caso di crimini» ed essersi poi visto revocare la licenza per lavorare in Russia, ha dovuto trasferire in Lettonia la redazione.

Le reazioni dell'opposizione bielorussa in esilio e quelle europee alla condanna di Bialiatski denunciano la palese violazione del diritto. Svetlana Tikhanovskaya che nell'agosto 2020 aveva in realtà vinto le presidenziali ed è poi stata costretta alla fuga in Lituania - ha parlato di «vergognosa ingiustizia», ricordando che col premio Nobel per la Pace sono stati condannati altri due attivisti. L'Ue ricorda che Ales Bialiatski ha ricevuto anche il Premio Sakharov del Parlamento europeo per la libertà di pensiero, e condanna il suo processo-farsa. La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola denuncia «l'insulto alla giustizia di queste sentenze politicamente motivate». Ferma e analoga condanna anche dal Comitato che assegna annualmente il Nobel a Oslo.

Ma è ormai chiaro che per i regimi dell'«Asse del male» queste condanne sono medaglie da ostentare, uno dei modi per farci sapere che sono in guerra con noi e che la posta in gioco è la libertà: anche la nostra.

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