Angelino Alfano se la cava, con l'aiutino dei carissimi nemici di Forza Italia e quello un po' a sorpresa dell'Idv. Che votano - assieme ai partiti di governo - contro la mozione di sfiducia presentata sugli scontri di Roma del 29 ottobre dopo che un video mandato in onda dalla trasmissione di RaiTre Gazebo ha ridato voce alle proteste delle opposizioni.
Il voto arriva in tarda serata: la Camera ha respinto la mozione di sfiducia di Sel e M5S. I voti a favore sono stati 125, i contrari 367. Ma è stato un film scontato, senza pathos. Bastava guardare Montecitorio durante il dibattito sul voto: inizialmente il vicepremier parla all'Aula semivuota, scortato dalle colleghe-badanti Roberta Pinotti, ministro della Difesa, e Maria Elena Boschi, titolare delle Riforme. Poi a un certo punto quest'ultima, visibilmente annoiata, si alza e se ne va. A proteggere Alfano c'è anche il deputato del Pd Paolo Naccarato, che per questo si sente così apostrofare dai banchi dell'estrema sinistra: «A celerinoooo!».
Il pomeriggio inizia con la requisitoria di Sel, per bocca del deputato Giovanni Airaudo: «Ministro, lei ha mentito alle Camera sulla ricostruzione di quella mattina. Qualcuno ha ordinato la carica. Dica chi ha ordinato di circondare i padri di famiglia dell'Ast di Terni e di caricarli. Lo dica e poi tolga il disturbo». Il deputato grillino Giuseppe D'Ambrosio ci mette il carico: «Un ministro deve rispondere della propria catena di comando e gestire politicamente le situazioni, essere bene informato su quanto succede tra le forze dell'ordine. E se questo non avviene il ministro deve dimettersi per manifesta incapacità». Prende la parola Alfano, che rifiuta il processo televisivo: «Ho visto le immagini, non smentiscono la ricostruzione dei fatti offerta da me in Parlamento». Il ministro insiste sulla sua versione dei fatti: «Era stato intimato l'alt, l'ordine non è stato ascoltato dal corteo ed è seguito lo scontro tra polizia e manifestanti. Al momento cruciale, gli agenti erano in numero esiguo e la carica è stata ordinata a sostegno di quei pochi agenti che altrimenti non sarebbero riusciti a impedire che il corteo uscisse dalla piazza». Dà mostra di buona volontà: «Il 12 novembre si insedierà il tavolo tra Viminale e sindacati in vista delle manifestazioni che ci attendono». Quindi fa il buono: «Respingo con forza l'accusa di un nuovo indirizzo che ispirerebbe l'azione di polizia a comportamenti muscolari nei confronti delle manifestazioni. Non solo è politicamente infondata ma è ingiusta e umiliante nei confronti delle forze di polizia, ne distorce l'immagine e fa correre pericolosamente l'idea che esse possano prestarsi a disegni strumentali cessando di essere una forza di garanzia al servizio imparziale delle istituzioni repubblicane». E poi Alfano fa anche un po' la vittima: «Con questa mozione, più che un giudizio politico sulla mia persona, c'è la volontà di cercare un capro espiatorio. La mozione di oggi dimostra una posizione di puro interesse speculativo: è paradossale che gli uomini in trincea (i sindacalisti e i poliziotti) abbiano saputo guardare avanti, mentre alcune forze politiche sono ripiegate su se stesse».
La sala si riempie. Il voto si avvicina. L'opposizione naturalmente sa che è una battaglia persa, ma cerca di massimizzare il bottino propagandistico mettendo zizzania tra la Grossekoalition che soccorre Alfano. Nichi Vendola ce l'ha con i vecchi alleati del Pd: «Il partito Democratico con Alfano? Nessun turbamento. Ci si vergogna solo la prima volta...», twitta.
Il capogruppo grillino Andrea Cecconi evoca la rinascita del Pdl: «Chi salva il ministro Alfano? Quello che in teoria sarebbe un partito di opposizione, ovvero Forza Italia. Il Pdl esiste ancora, Brunetta e Alfano fanno parte dello stesso partito». Ma sono solo fiumi di parole, come canterebbero a Sanremo. Alfano resta in sella.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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