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Scontro sull'allerta scattata già sabato. La Guardia costiera: "Decide il Viminale"

Un disastro, tante versioni. Il naufragio del caicco sugli scogli a pochi metri dalla costa di Steccato di Cutro che ha ucciso 67 migranti è solo l'ultimo, disastroso evento di una catena che è ancora in buona parte da chiarire

Scontro sull'allerta scattata già sabato. La Guardia costiera: "Decide il Viminale"

Un disastro, tante versioni. Il naufragio del caicco sugli scogli a pochi metri dalla costa di Steccato di Cutro che ha ucciso 67 migranti è solo l'ultimo, disastroso evento di una catena che è ancora in buona parte da chiarire. A cominciare dall'allerta, che è divenuta materia di scontro tra chi lavora alla gestione dell'emergenza, con le versioni dei vari ministeri coinvolti che non sembrano molto coincidenti e che rischiano di cozzare l'una con l'altra.

Quello che è certo, finora, è che i 180 migranti si erano imbarcati a Smirne, in Turchia, a quasi novecento chilometri in linea d'aria dalla spiaggia calabrese davanti alla quale la barca è finita in pezzi, la notte tra 25 e 26 febbraio. Un breve tratto a bordo di uno yacht, il Luxury 2, poi il trasbordo sul caicco.

Da sabato sera la storia la racconta il sistema dei soccorsi. Il caicco è avvistato verso le 22 da un aereo di Frontex, a 40 miglia dalla costa. Non sembra avere problemi di navigazione, in coperta c'è solo una persona. Viene allertata la Gdf e informata la Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma. Si muove subito la Guardia di Finanza con due imbarcazioni, la motovedetta V.5006 della Sezione Operativa Navale GDF di Crotone e il Pattugliatore Veloce P.V. 6 «Barbarisi» del Gruppo Aeronavale GDF Taranto, che non intercettano il caicco e tornano in porto per «l'impossibilità di proseguire in sicurezza», come scrive la Guardia di Finanza. Si attivano le ricerche a terra, per intercettare lo sbarco. Quanto basta a ritenere che l'operazione fosse più di polizia che di search and rescue, tanto che a essere attivata è la Guardia di Finanza, responsabile per i compiti di law enforcement, e non la Guardia costiera che si occupa delle missioni Sar. L'allarme e la richiesta di soccorso arrivano solo all'alba, alle 4,37, quando è appunto la Guardia Costiera a ricevere la telefonata di chi, dalla spiaggia calabrese, vede quella barca in difficoltà. Una seconda telefonata alle 4,55 avverte che la nave si è spaccata e che ci sono cadaveri e passeggeri che si gettano in acqua. «Alle 5,35 la prima pattuglia di terra Guardia Costiera, giunta sul posto, riferiva di numerose persone in stato di ipotermia in spiaggia, trascinate a riva dalla risacca così come alcuni cadaveri», si legge nella relazione della capitaneria di porto. Il disastro è ormai compiuto.

Alla cronistoria si aggiunge un'allerta che precede tutto di molte ore. È il dispaccio inviato alle navi in transito nello Ionio dal Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma (Imrcc, Italian Maritime Rescue Coordination Center) tre minuti prima delle sei del mattino di sabato. Si avverte che una stazione radio italiana ha ricevuto un mayday da una barca che si troverebbe in difficoltà e si chiede alle navi che si trovano nel mar Ionio di prestare attenzione e di segnalare immediatamente qualsiasi avvistamento. Il mayday era partito dal caicco? Questo non è noto, anche se 16 ore più tardi l'aereo di Frontex lo avvista e non lo trova in una situazione critica. Se fosse stato noto che l'imbarcazione era in difficoltà, la missione sarebbe ovviamente dovuta essere subito di soccorso e non di polizia.

Ed è per questo che ora la polemica infuria su ciò che è andato storto nella catena di comando dell'intervento. E inizia il rimbalzo delle responsabilità, esplicito o implicito, tra Italia e Unione Europea, tra organismi e ministeri, tra Viminale e Mit, tra Gdf e Guardia costiera. Così, per esempio, Vittorio Aloi, comandante della capitaneria di porto di Crotone, difende i «suoi», Guardia costiera e Mit. Secondo il comandante, che non si vuole esprimere nel dettaglio sull'«intricato discorso di ricostruzione dei fatti», la questione non è «perché non siamo usciti», non si tratta di aver omesso un intervento doveroso. «Dovreste conoscere i piani, gli accordi a livello ministeriale», spiega l'uomo, dicendosi convinto che la guardia costiera abbia operato correttamente, secondo le proprie regole d'ingaggio. Che, prosegue il comandante, «sono spesso regole che non promanano dal ministero a cui appartengo», il Mit di Salvini, ma «promanano da quello dell'Interno», guidato da Piantedosi. Quanto al mancato soccorso della Guardia costiera, Aloi ha concluso: «Non mi risulta che si trattasse di una segnalazione di distress, sapete che le operazioni le conduce la Guardia di finanza finché non diventano comunicazione di Sar. Io non ho ricevuto alcuna segnalazione».

Difesa del Mit, «scarico» su Viminale e Mef, con Piantedosi chiamato in ballo per le regole d'ingaggio e Giorgetti per il ruolo della Gdf. Se c'è uno scontro interno sull'allerta mancato, per l'opposizione invece finiscono tutti nel mirino, Salvini compreso.

E se il leader leghista difende la «sua» Guardia costiera, Piantedosi ribadisce come Frontex «non aveva segnalato una situazione di pericolo o distress a bordo» del caicco.

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