
Sono le otto e dieci del mattino e gli ultimi arrivano già stanchi, affrettando il passo e cercando di limare il ritardo dentro un numero ragionevole. La campanella, metaforica, è appena suonata e si rischia una segnalazione. L'eccezione qui non sarà mai la regola. Nessuno grida. C'è un'aula dove un gruppo di ragazzini è fermo davanti alla porta, qualcuno borbotta, altri si lamentano o sbuffano. Non serve a nulla. Sono i nuovi, una prima classe che ancora non ha capito come funziona. Una professoressa sta distribuendo scope e palette e li invita a pulire. Aldo Consoli, ottant'anni da poco compiuti e un passato da preside nelle scuole pubbliche, li osserva. È il capo, il direttore che ha cambiato il destino di questo posto, e ogni anno dice che questo sarà l'ultimo. È possibile che prima o poi accada. "Sì, sono passato a rimproverarli. Ieri hanno lasciato l'aula uno schifo. Ho chiesto di non toccarla. Adesso tocca a loro pulirla. Sono arrivati dalle scuole medie e vanno un po' educati".
Al centro del progetto c'è il fattore umano e questa davvero è una rarità. Non è solo una questione di disciplina, però qualcosa conta. Nelle scuole pubbliche, con il ministro Valditara, da quest'anno sono state chiuse le porte ai telefonini. Qui non si possono usare da dieci anni, e da un lustro neppure durante l'intervallo, e ancora nessuno si è sentito male. Ci si convive senza drammi e lo smartphone resta spento nello zaino. Se qualcuno trasgredisce rischia il sequestro e se recidivo anche per più giorni. Ti viene da chiedere a Aldo Consoli, il preside, se si rende conto che "custodire" oggetti altrui non è proprio legale. Si possono passare guai. Sorride. "Lo so benissimo, ma se un genitore viene a reclamare restituisco volentieri il telefonino ma solo se si riprende anche il figlio. Questa non è la scuola per lui". Aldo assicura che nessuno in realtà si è mai lamentato.
L'Enfapi è un centro di formazione professionale riconosciuto dalla regione Lombardia. È a metà strada di via Pietro Nenni a Treviglio, accanto a un bar molto carino che prende il nome della zona, il Pip, e di una filiale del credito cooperativo, di fronte ci sono un forno e una cartolibreria. È periferia industriale e la riconosci dagli odori di asfalto e chimica. Da qui si passa per prendere la Bre-Be-Mi, l'autostrada dei ricchi che va da Brescia a Milano. L'Enfapi è un consorzio di aziende della bergamasca. C'è la Same famosa in tutto il mondo per i trattori, la Colombo Filippetti specializzata in alberi a camme, la Pneumax, la Olvan e la Stucchi con innesti. Ci sono le aziende in crescita della logistica e le officine meccaniche. Ci sono i finanziamenti della Bcc. È un sistema di formazione che costa più di un milione e mezzo l'anno ma per le aziende è vitale. È da qui che prendono gli operai specializzati. È una scuola privata divisa in tre corsi: metalmeccanici, informatici e autoriparatori. Sono più di 300 studenti e il miracolo è che quasi il 90 per cento trova lavoro subito, ma qui non si formano operai, perché c'è qualcosa di molto più grande. Le famiglie non pagano nulla per i loro figli ma per farli studiare devono firmare, genitori, studenti e professori, un "patto formativo". Ci sono regole e vanno rispettate, ma le sanzioni non prevedono la classica sospensione. Non ha senso farli restare a casa. Il patto prevede che si resta a lavorare il pomeriggio per "lavori socialmente utili". Quest'anno c'è anche una norma nuova per frenare l'aumento dei ritardatari cronici. È un fenomeno in crescita. C'è, senza giustificazioni reali, un taglio di mezzo punto automatico del voto in condotta. È in centesimi e sotto il 60, che è la sufficienza, la bocciatura è senza appello. Un ritardo dopo l'altro è facile passare il limite. Ma se uno è bravissimo ma ritardatario? "Viene bocciato lo stesso". È Stefano Carminati che parla, il responsabile degli stage in azienda. "Il voto di condotta per noi è davvero importante. Le aziende quando valutano una persona vogliono sapere se sa lavorare in gruppo, se rispetta gli altri, se è affidabile e anche se è puntuale. La reputazione conta. Al terzo e al quarto anno metà delle ore di formazione sono in azienda. I ritardatari cronici devono fare i conti con la realtà". L'Enfapi non è solo una scuola. È un punto di riferimento sociale e di integrazione. Si tende a tenerla aperta sempre di più il pomeriggio. Ci sono corsi facoltativi, con contributi volontari delle famiglie. Il più importante è quello di saldatura. "I saldatori - racconta il professor Carminati - sono molti richiesti ed è difficile trovarli. Quanto guadagnano? Come minimo tremila euro al mese". Il prossimo sarà quello per tornitori.
Alle dieci e trenta si entra in quarta B. Madalin e Giulia, che sogna di lavorare in Ferrari, stanno raccontando ai loro compagni Le notti bianche. È l'ultimo romanzo che hanno letto e non per dovere. I migliori meccanici qui leggono Dostoevskij. Anas è campione nazionale di scacchi. Ishmit ha un talento matematico. Tommaso indossa una tuta da Formula Uno e confessa una passione per Ayrton Senna. "Ma se neppure eri nato?". "So tutto di lui. Perché mi piace? Faceva andare la macchina al massimo anche quando faticava a camminare". Se chiedi da dove vengono ti rispondono Caravaggio, Treviglio, Casirate, Fara Gera d'Adda. Se chiedi dei loro genitori: Albania, India, Romania, Turchia, Sicilia, Puglia, Perù. Sono tutti italiani, piuttosto orgogliosi. Scuola e lavoro sono il segreto dell'integrazione. Il divieto di usare il telefonino non li tocca. Giulia dice che hanno scoperto la voglia di stare insieme e, sì, questa scuola è severa ma ti insegna il rispetto, anche verso di lei che in classe è l'unica donna. Enriko, con la kappa, svela che una battaglia l'hanno vinta: più tolleranza nell'andare in bagno durante la lezione. Anche i professori vanno educati. La quarta B è una classe un po' speciale. Sono i protagonisti di Fuori non è ancora così (Rubettino), il romanzo della loro prof. Sono cresciuti e domani andranno in stage fino a gennaio. Se sono un po' speciali è perché hanno visto gli occhi della morte e continuano a credere negli angeli. Lo sguardo cade su una fotografia.
È la storia che Miriam D'Ambrosio racconta nel suo libro. "Stamattina c'è nebbia; attraverso il corridoio, accendo le luci, entro in aula e mi siedo al mio posto, dietro la cattedra: un'aula vuota non mi piace mai ma tra poco sarà abitata, questione di un quarto d'ora, poi la campanella accompagnerà le voci. Intanto ci sei tu, Ousmane, accanto alla cattedra, in una rientranza del muro c'è la tua foto, il primo piano di un quattordicenne che dimostra meno con le sue guance paffute e il viso rotondo. Ora loro sono arrivati in terza e la tua foto li segue, anzi ci segue dal secondo anno, da quando non sei tornato più. Il tuo desiderio era rivederli.
Te ne sei andato un giorno di settembre. La tua classe ti ha scritto dei biglietti che non sono stati letti ad alta voce ma restano nascosti in una scatola. Non ti dimenticano: l'anno prossimo, in quarta, ci sarai pure tu". È proprio così.