Se Bottura è "Robin Food"

Se Bottura è "Robin Food"

P overi noi. Noi che non siamo poveri. E nemmeno ricchi. E che quindi i piatti dei «cuochi artificiali» non li assaggeremo mai. Poveri noi che non siamo poveri. E quindi non potremo accedere al refettorio «inventato» da Massimo Bottura, lo ieratico chef modenese considerato il migliore al mondo oltre che, per distacco, d'Italia. Il Massimo del Gusto aveva già escogitato una Caritas a tre stelle in occasione dell'Expo milanese del 2015: il Refettorio Ambrosiano sfamò per sei mesi gli indigenti con gli avanzi della kermesse nobilitati dal tocco dei cuochi top chiamati a raccolta. Un'ideona, di quelle che commuovono le anime belle e ripuliscono l'immagine di chi all'Osteria Francescana propone ogni giorno i suoi mitologici tortellini a 60 euro a porzione prendere-o-lasciare. Ora Bottura ci riprova: annuncia ieri a Licia Granello, in un'intervista a Repubblica, che sta per aprire a Londra e poi a Berlino nuovi refettori per i meno fortunati: «Si spenderanno 50 centesimi per una zuppa, 30 per una verdura». Un prezzo anti-umiliazione, perché trattasi «non di carità ma di restituzione di dignità». Bene, issimo. Un'iniziativa così non si può criticare, anche al netto di qualche deriva mediatica. Se Bottura costruisce la sua immagine (lo fa, lo fa. Anche se dice di no) in tal modo oltre che col suo sconfinato talento ci sta. Però ci chiediamo: sistemati i ricchi, che si sistemano da soli e possono mangiare alle migliori tavole del mondo (se poi si fanno l'happy meal è affar loro); sistemati i poveri con questa redistribuzione alla Robin Food (ehi, non è un refuso); alla classe media chi ci pensa? Perché non trovare una formula per consentire anche a chi pur senza essere derelitto non può spendere 250 euro per un menu degustazione stellato, di godere dei piatti dei grandi chef magari in contesti meno sussiegosi? Ci si dirà: ci sono i festival come Taste a Milano o Roma. Ma si tratta di eventi spot che durano pochi giorni e assomigliano a sagre di paese in ghingheri. Che poi forse sarebbe anche il momento giusto per rifar pace con la normalità. Ormai anche molti addetti ai lavori stanno rompendo quel muro di omertà che da anni copre le gesta dei grandi cuochi. Ultimo il critico Daniele Cernilli, che in un recente post ha scritto: «Possibile che nessuno dica che i ristoranti di molti di costoro (i grandi chef, ndr) sono costosissimi? Mi piacerebbe che si facessero un bell'esame di coscienza. Così come tutta quella sedicente critica gastronomica, in massima parte improvvisata, che non fa altro che esaltarli». Il ragionamento è stato ripreso dal «critico mascherato» del Corriere della Sera, Valerio M.

Visintin, che ha sposato le tesi di Cernilli, e - bontà sua - ha inserito anche chi scrive tra coloro che hanno iniziato a denunciare il lato B dell'haute cuisine, con il libro «Cessate il Cuoco» uscito due mesi fa con Il Giornale. Quindi, caro Bottura, detto con simpatia: è ora. Anche la classe media ha fame, oltre che dignità. E buon appetito.

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