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Se i morti di Israele non fanno notizia

Il terrorismo che uccide da noi è lo stesso che colpisce nello Stato ebraico. Ma troppi fingono di ignorarlo

I funerali di Yaakov Litman e suo figlio Netanel, uccisi a Hebron
I funerali di Yaakov Litman e suo figlio Netanel, uccisi a Hebron

Non comprendere che il terrorismo che investe Israele è identico a quello che sta investendo il resto del mondo è molto pericoloso per l'Occidente, è una discriminazione, è distogliere gli occhi dal dolore, è negare la solidarietà che deve invece compattare tutta la guerra al terrore: se è vero che per affrontare lo scontro devi innanzitutto definirlo, il fraintendimento qui è corruttivo e letale. Ieri John Biden, il vicepresidente degli Stati Uniti, nel suo weekly address alla Casa Bianca sui temi del terrore, ha citato gli attacchi terroristi in corso definendoli «atroci» e ha menzionato Parigi, Beirut, l'Iraq, la Nigeria. Israele non compare nonostante ieri stesso abbia perduto una ragazza di 21 anni, Hadar Buchris, e abbia subito altri attacchi, come ogni giorno. Con quanto dolore abbiamo visto in questi giorni su tutti i giornali la faccia sorridente di Valeria Solesin, soffrendo anche per la rabbia che deriva dall'incomprensibile casualità dell'evento. Ieri ci è toccato di vedere il volto bellissimo di Hadar sui giornali. Uccisa dalle coltellate in una strada del Gush Etzion, vicino a Gerusalemme. L'assassino, era un 34enne di Beit Fajar, un villaggio palestinese. Sempre ieri un guidatore di taxi ha tentato di travolgere un gruppo di israeliani, e poi è saltato giù dalla macchina con un coltello, ne ha ferito uno, poi un civile gli ha sparato. Una donna al volante è stata anche lei colpita mentre cercava di travolgere un israeliano.

Non sono che le ultime notizie di uno stillicidio continuo di un attacco che dura da tre mesi, ma che ha i suoi prodromi sin negli anni Venti quando il terrorismo viene impostato come genocidio programmato da parte del mufti palestinese Haj Amin al Husseini, l'amico di Hitler che decide di tentare la cancellazione degli ebrei dall'area della Palestina (nome che i romani dettero alla Giudea) che stava divenendo, da Mandato Britannico, Israele. Dal primo di ottobre al 19 novembre sono stati compiuti 91 attacchi da 102 palestinesi e tre arabi israeliani. Almeno una dozzina avevano fra i 12 e i 17 anni, altri sono donne fra i 16 e i 72 anni, circa la metà sono stati uccisi dalle forze dell'ordine. Gli attacchi hanno coperto tutta Israele, ma Gerusalemme è stata l'epicentro perché morirvi da shahid è un desiderio di massa fra i giovani. Gira in questi giorni un'intervista a una graziosa madre palestinese in un ospedale israeliano: il suo bambino è stato appena salvato dai medici israeliani, («Non ci siamo arresi, sorridi» dicono con alla madre araba che piange di gioia), ed ecco che la donna si dichiara pronta a dare la vita di suo figlio per Gerusalemme, perché da Al Aqsa il profeta si è involato. Ripete che per i musulmani la morte è come la vita, non fa paura, anzi, la desiderano. L'Intifada corrente è fatta, come a Parigi, di terroristi suicidi: solo qualche giorno fa un giovane ha seguitato a sparare a un poliziotto riparato da uno scudo antiproiettile, finché quello, trovandoselo davanti al naso, non è stato costretto a ucciderlo. Voleva il martirio. Certo, non tutti i palestinesi sono così, ma lo sono quelli che praticano il terrorismo, la loro aspirazione non centra nulla con la richiesta di uno Stato Palestinese. Il martirio per la fede, l'odio per gli ebrei imperialisti sono il leit motiv che accompagna tutto lo jihadismo contemporaneo. L'esercito terrorista palestinese condivide ciò che tutti i terroristi hanno in comune: un'educazione dei media, della famiglia, della scuola, talvolta elevata ma intrisa di determinazione a battere un nemico visto come il demonio, e una potente spinta a farsi shahid. I terroristi di oggi disprezzano il compromesso, che è trattativa col male. È di ieri una rilevazione del Palestinian Media Watch in cui una bambina recita questa poesia alla tv dell'AP: «Quando ero piccola mi hanno insegnato che essere araba è il mio onore, che la nostra terra si estende da una punta all'altra, che le guerre sono per la Moschea, che il nostro nemico, Sion, è Satana con la coda». È con questa cultura che sono stati uccisi fra i primi davanti ai loro bambini dai 9 anni ai 4 mesi Eitan e Naama Henkin.

E dopo e prima tanti e tanti israeliani, a migliaia: non riconoscerli come vittime del terrorismo che colpisce anche Parigi e può colpire chicchessia è una disconoscimento della forza esplosiva della ideologia islamista, una resa alla propaganda.

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