Se ne va Peppino Caldarola che sapeva vedere la politica

Giornalista e parlamentare. È morto a 74 anni. Ex direttore dell'Unità. Ha scritto per il Giornale

Se ne va Peppino Caldarola che sapeva vedere la politica

Se ne andato senza fare rumore, perché da persona intelligente con la morte ci ha fatto i conti da sempre, nel giorno in cui la democrazia parlamentare viene messa all'angolo, come a dire: non sarò vostro complice. Peppino questa volta se l'è risparmiata.

Giuseppe Caldarola è uno di quelli che vedeva i corridoi invisibili. È un'arte che sta diventando sempre più rara. È la capacità di intravedere quello che non c'è, andando oltre l'apparenza, i muri e le frontiere, i binari del rosso e del nero. È un dono con cui nasci, ma che si nutre giorno dopo giorno di letture, pensieri, dialoghi, esperienze, dubbi e ossessioni e ricerche, tutto quel bagaglio che per brevità possiamo chiamare cultura. È profondità e leggerezza. La cosa bella è che quando ce l'hai davvero non hai neppure bisogno di metterla in mostra, di fare la fatica di farla vedere. È un gesto, semplice, come sorseggiare un caffè. Peppino era così, pure quando si presentava davanti alla tv. Te ne accorgevi dallo sguardo, che indagava, curioso, l'orizzonte intorno a sé, fulminava i parolai e i furbi, si addolciva davanti a una bella idea.

Non era un freddo. Nulla a che fare con l'intelligenza cinica di D'Alema, pugliese come lui, a cui rimproverava di saper vincere solo i congressi. La politica non è solo una partita a scacchi. È anche ideali, sogni, visioni. È cuore e stelle, sapendo che spesso ti tocca camminare nel fango. È il coraggio di non prendersi in giro, di saper fare i conti con se stesso, di non sparire quando le cose non vanno come te le aspetti. La politica è anche coraggio. È quello che Peppino faticava a riconoscere in Veltroni. Tutti e tre da giovani sono stati comunisti. Caldarola da lì ha camminato a lungo nel deserto, senza scorciatoie. Gli altri due si sono messi la giacca. Peppino direbbe che è normale. Non toccava a lui fare il leader e non ha dovuto pagare il prezzo di dover indossare la maschera.

Non lo ha fatto anche se è finito per due volte in Parlamento. o da direttore de L'Unità. Si è divertito quando ha fondato Italiaradio. Ha scritto dove lo lasciavano libero di raccontare le sue idee. Non si legge molto in giro, ma ha scritto anche qui, sul Giornale, alla fine degli anni '10, senza rinnegare nulla e mandando a quel paese chi lo accusava di eresia.

Dieci anni fa, e forse più, scriveva così: «Solo chi ha vissuto per anni nella sinistra o l'ha osservata da vicino può capire la ferita rappresentata dalla fine dell'idea di partito. È un universo comunitario che è venuto meno portando via con sé relazioni, intrecci familiari, consuetudini antiche.

Oggi il dirigente più bravo non è quello che ascolta ma il facilitatore di pratiche, quello che sa tutto di appalti, di banche e di amministrazione. A sinistra si fanno e si disfano alleanze in cui estremismo e moderatismo un tempo divisi vanno a braccetto». Sembra scritto ieri. Peppino aveva 74 anni e non li dimostrava.

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