Se il nemico va cancellato

La sinistra ha il vizio della forca

Se il nemico va cancellato

Il Pd non fa prigionieri. C'è un punto cieco nella cultura politica della sinistra italiana, un'ipocrisia o perlomeno un'incoerenza, qualcosa che si fatica a riconoscere, come capita a chi nasconde a se stesso i propri difetti.
La sinistra si racconta come l'anima profondamente democratica del Paese, quella colta, tollerante, aperta, pronta a scendere in piazza per difendere a mani nude la libertà minacciata dal fascismo eterno. A sinistra, per definizione, ci sono i buoni. Non ci possono essere dubbi su questo. È una verità metafisica. È, anzi, un peccato che la scienza non abbia ancora trovato il modo di dimostrarlo. Lo sa il cuore, lo sa la ragione, lo sanno tutti quelli che hanno diritto di cittadinanza. La sinistra è libertaria, garantista e moralmente superiore. È la «matria» dei principi fondamentali della Costituzione.
I guai cominciano quando all'orizzonte appare il nemico. Non gli lasciano tregua. In una democrazia matura il concetto di nemico non dovrebbe esistere. C'è l'avversario, quello che non ha le tue stesse idee, ma con cui ti confronti e che sfidi nell'arena elettorale. È un'arena dove non si sparge sangue ma si contano i voti. È qui che a sinistra si attiva il cortocircuito. Chi è il nemico? È qualcuno che ha un pensiero divergente rispetto ai codici della sinistra. Non solo. Il nemico ha anche un'altra caratteristica: prende più voti. È questo che fa impazzire il Pd. Il deviante, che a torto o a ragione, trova un consenso popolare.
A questo punto il nemico va vestito. È in primo luogo un pericolo per la democrazia. Le sue idee sono barbare. La sua estetica è rozza e meschina. Se sta in giacca e cravatta è di plastica. Se indossa la felpa è il segno della sua miseria etica e culturale. Il pupazzo sarebbe una sorta di Catilina o di Crasso, ma per ignoranza o scarsa fantasia finiscono per tirare in ballo il fascismo. La mossa successiva è sperare nelle manette. La giustizia diventa così il convitato di pietra della democrazia italiana.
Il nemico adesso è Matteo Salvini. Qui non è importante valutare il peso politico del leader della Lega. È interessante capire come si delegittima il nemico. Come funziona, come un pezzo alla volta gli si strappa di dosso qualsiasi brandello di umanità. Il nemico è un pupo, una maschera, uno sgherro, un cattivo. È il male e non c'è spazio per la pietà. Diranno che si esagera, però se si guarda a quello che accade, a mente fredda, senza alcuna simpatia per Salvini, è difficile fare finta di nulla. Non si può restare sempre zitti, per timore di passare per «sovranisti» o «populisti». La realtà è che i «buoni» stanno prendendo a calci la democrazia. Non riconoscono gli altri e gli negano cittadinanza politica. Lo fanno gridando che quelli sono «cattivi», sono il passato che torna, sono i nuovi mostri. Lo fanno in nome di una legge non scritta. La democrazia è vera solo quando vinciamo noi. Questo modo di ragionare dei «buoni» è una malattia. È il male oscuro di questa repubblica.
L'ultimo spettacolo va in scena a Catania. Salvini, sabato, si presenterà in tribunale per difendersi dall'accusa di sequestro di persona aggravato. È il caso della nave Gregoretti. Salvini verrà processato per quello che ha fatto come ministro dell'Interno. Solo lui, tutti gli altri al governo invece dormivano. Sul porto, davanti alla Dogana vecchia, si sta già radunando una folla, con la benedizione del Pd, per invocare la condanna di Salvini. La scena ha perlomeno un vago odore forcaiolo. Stai lì in massa a chiedere al giudice la condanna. Non ti accontenti di sconfiggere uno dei leader dell'opposizione, lo vuoi in galera.
Se ne rendono conto? No. Lo slogan da ripetere sul fronte del porto è questo: «Gli italiani scelgono la libertà». Sembra paradossale, ma ci credono veramente. In prigione, in prigione e che ti serva da lezione. Non basta, però, neppure questo.
Salvini non è più quello del primo governo Conte. Si è fatto fuori da solo due estati fa. Ha giocato d'azzardo e gli è andata male. Non ha più il potere. Non ha neppure la possibilità di andare alle elezioni a breve. I suoi voti sono in naftalina e con il tempo potrebbero consumarsi. Non è riuscito neppure a dare la spallata passando per le elezioni regionali, con la scommessa persa di strappare alla sinistra Emilia Romagna e Toscana. Sta faticando a ritrovare un ruolo centrale nel dibattito pubblico. Il Pd e i Cinque Stelle, senza una visione politica, sono riusciti comunque ad arroccarsi al governo, con due sole ossessioni: rinviare il voto il più possibile e eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Non basta. Salvini resta da minaccia e per lui non ci può essere misericordia.

Il Pd non ha mai amato i decreti sicurezza o quota cento, ma c'è quasi l'impressione che abolirli abbia un significato più profondo. Lì c'è l'impronta di Salvini. C'è il suo odore. C'è la sua faccia. C'è il suo marchio. Tutto questo va cancellato. Quello che sogna la sinistra è la damnatio memoriae. Matteo Salvini chi?

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