Se la vittima diventa il colpevole

​Mai farsi risucchiare in una guerra da qualcuno che ha migliori motivi di te per farla

Se la vittima diventa il colpevole

Mai farsi risucchiare in una guerra da qualcuno che ha migliori motivi di te per farla. Tu credi di voler «solo» raccontare la verità, e invece c'è chi ti trascina in un morfing infernale da cui la realtà esce con i connotati tumefatti. Allora può succedere che la vittima diventi il colpevole, che i fatti si capovolgano a testa in giù, che le accuse sbiadiscano fino a prendere i contorni degli alibi. Proprio come in questa vicenda del giudice che tocca il sedere a un'altra giudice e dove tutto sembra fin troppo chiaro, addirittura cristallino. Con i torti e le ragioni ben posizionati, i confini tracciati di netto, i fatti fin troppo evidenti. Gli abusati e i predatori sistemati ognuno al proprio posto, che sono due posti diversi. Fino a quando si ribalta tutto. Al giudice molestatore, per l'aggressione, vengono tolti soltanto due mesi di anzianità, alla giudice molestata viene inflitta dal Csm la sanzione della censura per aver mandato dei messaggi a un altro giudice ancora in cui chiamava «porco» il primo, quello che le aveva messo una mano sulle chiappe. Negli sms al giudice Luca Palamara (ex presidente dell'Anm e all'epoca leader dell'Unicost), Alessia Sinatra, si augurava che l'allora procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo (la mano lunga) in corsa per diventare procuratore di Roma (ed eccoli qui, i motivi migliori per la guerra...) non finisse la sua corsa e soprattutto che non centrasse il suo obiettivo. Se uno ci toccacciasse in ascensore, non istigato, non invitato, non contraccambiato, non apprezzato, ci augureremmo di non trovarlo neppure in fila al supermercato, manco due casse più in là con la faccia semicoperta dalle mentine in offerta. Figuriamoci a capo di una procura. Non lavorare contro l'eventualità che una persona del genere finisca con l'occupare un posto simile, equivarrebbe a una colpa. È non far niente per impedirlo che dovrebbe essere passibile di condanna, non il contrario.

Quanto poi al fatto che in un messaggio privato, la giudice abbia definito «porco» uno che non istigato, non invitato, non contraccambiato, non apprezzato si è comunque permesso di toccacciarla in ascensore, beh, quel «porco», anche Dio la chiamerebbe giustizia. Ed è un peccato che gli unici incapaci di riconoscerla siano quelli che dovrebbero maneggiarla per mestiere.

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