Secchiate e auto blu. La favola a 5 Stelle finisce malamente nella terra di Di Maio

Il ministro nel mirino degli attivisti per la scorta. E Di Battista lo sabota

Secchiate e auto blu. La favola a 5 Stelle finisce malamente nella terra di Di Maio

La favola grillina finisce in Campania. Senza il lieto fine. Ma con un finale da incubo: secchiate d'acqua, fischi, proteste e insulti contro Luigi di Maio, il volto della rivoluzione mancata. Il ministro degli Esteri, l'uomo del sogno grillino, riparte per Roma, dopo il tour elettorale nella sua terra, «blindato» e «protetto» dal corteo delle odiate auto blu. È l'immagine di una rivoluzione fallita. Di Maio batte palmo a palmo i territori della Campania. Cerca di rifarsi una verginità spingendo per il Sì al referendum sul taglio dei parlamentari. Sventola la bandiera dell'anti-casta: «Votiamo Sì e tagliamo i privilegi». Ma diventa la caricatura di se stesso. In quasi tutte le tappe del giro elettorale, l'ex leader dei Cinque stelle rimedia sberle dagli attivisti. È accerchiato dal malcontento. Si sentono le urla di una folla inferocita. Quel popolo che aveva creduto alla bugia dei ministri che viaggiano senza auto blu. Di Maio ne ha quattro: una berlina ministeriale su cui si muove con lo staff, preceduta da un'auto staffetta, e seguita da altre due.

Un declino raccontato bene dall'ex ministro Gianfranco Rotondi: «Oggi ho capito in diretta la ragione del tramonto dei pentastellati. Al tempo dei loro primi meet up io ero un ministro del governo Berlusconi, scortato come tutti i ministri. La passione dei cinque stelle era fotografarmi con la scorta, una volta ironizzarono persino sul fatto che stessi consumando un gelato con gli uomini della sicurezza. Ero a Grottaminarda, in provincia di Avellino, per un incontro elettorale, a cui sono giunto puntuale alla guida della mia autovettura. Dal meraviglioso caffè che ci ospitava ho assistito al passaggio di un corteo ministeriale degno dei miei ricordi di prima repubblica: era il ministro Di Maio. Tutto normale: i ministri viaggiano secondo protocolli di sicurezza che sono gli stessi per tutti. Il guaio per Di Maio è che lui abbia fatto credere agli italiani che si potesse fare in un altro modo. Che quel protocollo di sicurezza fosse un odioso privilegio. Invece ora i ministri a 5 stelle attraversano lo Stivale con le sirene e i lampeggianti. La foto di Grottaminarda vale più di un editoriale: il corteo di auto blu pentastellate spiega plasticamente come si passa dal trenta al dieci per cento. Il viale del tramonto è brevissimo anche quando lo si percorre con quattro auto blu».

Non c'è solo il post di Rotondi a immortalare la fine della favola grillina. Ma soprattutto la rabbia della base contro l'ex capo dei Cinque stelle. A Giugliano, venerdì pomeriggio, arriva il ministro degli Esteri Di Maio per un caffè con il candidato sindaco del Pd Nicola Pirozzi. Ad attenderlo gli attivisti con cartelli e fischi. Cori e accuse contro l'ormai ex capo. Di Maio si infila nel bar da una porta di emergenza scortato dagli uomini della sicurezza. Sembra quasi una beffa: gli unici applausi arrivano dai militanti del Pd. Dal partito che il moralizzatore Di Maio voleva cacciare a calci dalle istituzioni. Due sere prima a San Giorgio a Cremano, comune in provincia di Napoli, il ministro degli Esteri rimedia una secchiata d'acqua in faccia. Niente applausi. Ma rabbia e insulti. E poi ad Avellino: un attivista lo interrompe mentre l'ex leader grillino dal palco cerca di raccontare la favola con il lieto fine. Il sermone, ripetuto mille volte, della lotta ai privilegi. «Bugie, bugie», urla l'attivista. Ci sono le auto blu a inchiodarlo.

Ma non c'è solo la base che insorge. Non c'è solo la folla di normali cittadini che si ribella contro una truffa politica. A Bari, Alessandro Di Battista, dal palco con Barbara Lezzi e Antonella Laricchia (candidata del M5s alla presidenza della Puglia) affonda il colpo e lacera il Movimento: «Voto disgiunto? La cabina elettorale non è un cesso».

Parole pronunciate contro chi nel Movimento in queste ore sta invocando il voto disgiunto in favore del governatore uscente della Puglia Michele Emiliano per evitare la sconfitta del Pd. Il M5s è nato per spaccare tutto. Una favola finita tra fischi, secchiate d'acqua, auto blu e patti di desistenza con il Pd.

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