Segnali ai frondisti Pd per evitare lo strappo

I renziani aprono sull'elezione dei senatori per ritrovare l'unità prima del voto

Segnali ai frondisti Pd per evitare lo strappo

Parola d'ordine: chiudere il fronte interno. Nella lunga e rischiosa partita del referendum costituzionale, Matteo Renzi vuole concentrare le forze sugli obiettivi principali, nella convinzione che «se riusciamo a spiegare la riforma nel merito, e a far capire agli italiani che stavolta votare è importante per sbloccare il futuro del Paese» la vittoria sia a portata di mano.

Per farlo, però, è importante non arrivare alla campagna elettorale vera appesantiti dalla solita guerriglia interna al Pd, consegnando alla pubblica opinione l'immagine di un Pd spaccato con la fronda intenta a legittimare le ragioni del No. Per sventare questo rischio, occorre smontare subito i pretesti che la minoranza del Pd ha iniziato a brandire in funzione anti-Renzi. Ecco quindi che dal Nazareno iniziano a partire i segnali di disgelo verso il fronte bersaniano. Il primo amo lo lancia il vicesegretario Lorenzo Guerini: «È sbagliato mischiare il piano della riforma con le norme elettorali. È giusto dialogare al nostro interno, e si può cominciare subito sul sistema di voto del nuovo Senato». Insomma: la minoranza Pd accantoni la pretestuosa polemica sull'Italicum, che il governo non ha alcuna intenzione di rimettere in discussione. Ma siamo pronti a discutere della legge che dovrà stabilire le regole per far indicare dagli elettori, tra i consiglieri regionali, quelli che andranno a fare parte del nuovo Senato. Su questo tema era stata raggiunta l'intesa grazie alla quale la fronda dei senatori Pd aveva votato sì alla riforma, grazie alla mediazione di Vannino Chiti, esponente della minoranza che oggi è uno degli animatori della «Sinistra per il sì». «La bocciatura della riforma costituzionale - spiega - aprirebbe scenari preoccupanti: subirebbe un colpo la credibilità riformatrice della nostra politica e si affiderebbe a Grillo e Salvini il futuro della Costituzione».

Oggi, l'interlocutore che Renzi ha individuato per la nuova pacificazione interna è Vasco Errani, «il bersaniano pensante» come lo definisce un renziano. È stato proprio lui a rimettere sul tavolo, in una raffica di interviste agostane, la questione della legge elettorale per il Senato. «Errani ha capito che, con i suoi aut aut sull'Italicum, la minoranza Pd si è infilata in un cul de sac - ragiona un dirigente renziano - dobbiamo dare loro un appiglio per venirne fuori, e la legge elettorale sul Senato può esserlo». Anche se, si mette in chiaro, «la legge andrà in Parlamento solo a riforma approvata, e dunque dopo il referendum».

La trattativa non è ancora iniziata, e il suo esito non è certo: la fronda Pd è divisa al suo

interno tra chi punta solo a far saltare Renzi e chi si rende conto (come Errani e lo stesso Cuperlo) che se il Pd arrivasse al referendum spaccato tra sì e no la scissione e l'implosione del partito sarebbero inevitabili.

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