Il segretario "accetta" il seggio a Siena. La sua rete di affari da superconsulente

Letta scioglie la riserva: è in corsa per diventare deputato. Gli incarichi collezionati in questi anni, da Amundi a Publicis

Il segretario "accetta" il seggio a Siena. La sua rete di affari da superconsulente

Alla fine, seppur pisano, Enrico Letta si candida a Siena, alle suppletive. Pisani e senesi, disse, sono uniti da una cosa profondissima, si presume l'odio campanilistico per i fiorentini (ogni riferimento a Renzi è casuale). Il segretario Pd però, inizialmente si era mostrato scettico, quasi disinteressato al seggio parlamentare e al relativo emolumento. Appena eletto capo del partito era tutto un «non lo so», «non è la priorità», «non ho ancora preso in considerazione l'ipotesi», «mi hanno cercato i senesi del Pd», quasi fosse un sacrificio da scansare quello di occupare la poltrona alla Camera lasciata vacante dall'ex ministro Pier Carlo Padoan, dimessosi per andare in Unicredit come presidente. «La nostra logica, comunque, è che decidono i territori. Sono contro le imposizioni dall'alto, vediamo cosa decidono i territori» spiegava solo qualche settimana fa. I «territori» senesi del Pd sono quindi riusciti a convincere Letta, che in certe questioni (dal ddl Zan al dialogo con la Lega alleata di governo) è impermeabile ad ogni mediazione, su altre evidentemente è più malleabile. D'altronde c'era anche un problema pratico da affrontare, non subito, per non dare l'idea di essere tornato a Roma per riprendere la carriera politica, proprio lui che nel 2015 si era dimesso da deputato e dalla politica «fatta da gente che non fa altro, non ha un mestiere». Però, lasciata la scuola di Affari Internazionali a Parigi e gli incarichi incassati negli ultimi anni, Letta si è ritrovato segretario del Partito democratico ma senza stipendio. «Rinuncio a tutti gli incarichi retribuiti che ho perché credo nella moralità della politica. Ma anche per questo in questi giorni devo rivedere tutto...» spiegò in tv, facendo capire che il segretario Pd non vive di sola moralità, serve anche una retribuzione.

Anche perchè Letta è abituato a standard economici di prim'ordine. Da professore parigino, ha messo a frutto tutta la sua esperienza istituzionale, come altri ex premier, per incassare consulenze prestigiose e ben remunerate. Anche qui il volto severo del leader di sinistra, erede di Berlinguer (di cui condivide il nome sentendone tutto il peso) lascia spazio al grande mediatore, profumatamente pagato proprio per trovare compromessi tra colossi. È il giornale di De Benedetti, Domani, diretto da Stefano Feltri, a svelare la fiorente attività extrapolitica ed extrauniversitaria di Letta. Il quale risulta fondatore della società di mediazione Equanim, che ha risolto la controversia tra Veolia e Suez fino alla fusione in una società da 37 miliardi di fatturato. «Enrico Letta per due anni è stato in Publicis, colosso pubblicitario francese criticato per i rapporti con i sauditi - scrive Domani -, è stato anche vicepresidente per l'Europa occidentale del veicolo di investimento cinese ToJoy».

Nel 2016 poi è stato nominato nell'advisory board di Amundi, il più grande asset manager in Europa e tra i primi dieci a livello globale. Il compenso ricevuto da Letta non è stato reso pubblico da Amundi, mentre lo è quello ricevuto da Publicis, «per otto sedute, sempre presente, è stato pagato 100 mila euro». Una delle controllate di Publicis, l'americana Qorvis, cura l'immagine della monarchia saudita.

L'ufficio stampa del Pd ha confermato che Letta si è dimesso da tutti gli incarichi, compreso quello in Equanim. Ora lo aspetta un più modesto seggio alla Camera, sempre che a Siena vinca il Pd, non più scontato come un tempo.

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