La Procura di Milano ha chiesto sei anni per Berlusconi sul Ruby Ter.
«Anche se non sono più in servizio mi riesce difficile pronunziarmi sulle richieste di un collega, soprattutto ignorando gli atti. Quello che però mi scandalizza è che il processo si riferisca a fatti accaduti molti anni fa. Una sentenza così tardiva è sempre una sentenza ingiusta».
Il pm ha nominato la moglie di Mario Chiesa per operare un paragone.
«Non ho ascoltato la requisitoria in cui si fa questo paragone, e quindi non so come il Pm abbia spiegato questo nesso. Posso solo rispondere che la moglie di Mario Chiesa ha contribuito a rivelare un sistema generalizzato di corruzione e di finanziamenti illegali, che ha portato al crollo della prima repubblica. Qui il contesto mi sembra meno gravido di conseguenze generali».
«Sultano», «grande anziano» e «boccaccesco». Sono alcune delle espressioni usate in un'altra udienza.
«In quarant'anni di esercizio della funzione di Pm non mi sono mai sognato di esprimermi in termini così grossolani. L'imputato va rispettato sempre, e queste sortite sono di pessimo gusto. Aggiungo che, provenendo da una magistrata appartenente a una Procura che oggi versa in gravi difficoltà di immagine, per i conflitti sorti nel suo ambito e per gli indagati che vi fanno o vi hanno fatto parte, una maggiore cautela sarebbe stata più appropriata»..
Anche questa vicenda rientra nel tema dei rapporti tra Giustizia e politica: una relazione che continua a essere problematica.
«Il conflitto tra politica e giustizia non è nato con Mani Pulite, che malgrado errori nelle indagini e usi strumentali della custodia cautelare ha perseguito reati gravi. Il conflitto è nato quando la magistratura ha invaso il campo della politica, condizionandone lo svolgimento, in particolare con l'invito a comparire notificato a Berlusconi a mezzo stampa, con una patente violazione del segreto istruttorio sulla quale nessuno ha mai indagato. Poi la stessa politica ha strumentalizzato le indagini che colpivano gli avversari che non riusciva a battere sul terreno elettorale».
Lei è presidente del Comitato per il Sì al Referendum. L'attenzione mediatica per un appuntamento chiave come questo però è quella che è. Come se lo spiega?
«Da un lato vi sono problemi più angoscianti, come la guerra in Ucraina e la crisi economica. Ma dall'altro vi è un residuo timore verso la Magistratura perché si pensa, a torto, che il referendum, abbia nei suoi confronti un intendimento punitivo. Timore comprensibile, perché basta un'informazione di garanzia per compromettere l'immagine, o addirittura la carica di un politico».
Lei ha dichiarato che non andare a votare Sì significherebbe dover smettere con le lamentele.
«Quando si è intervistati occorre trovare espressioni incisive, ma comunque la sostanza è proprio quella. Ora i cittadini hanno la possibilità di mandare alla politica un messaggio di insoddisfazione sull'amministrazione della giustizia penale nel nostro Paese. Se non se ne avvalgono, non possono poi lamentarsi della violazione quotidiana dei diritti costituzionali da parte di alcuni magistrati.
Tuttavia la disaffezione degli italiani alle urne è così aumentata che l'astensione non potrebbe essere interpretata come un voto negativo, ma come stanchezza e rassegnazione generalizzata. Quindi nel merito sarebbe scorretto identificare l'astensione con un voto contrario. Quello si vedrà dal conteggio dei voti reali, da lì si capirà l'orientamento dei cittadini».
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